A sua volta, Patrick Grant costruisce una tradizione inglese in cui inserire Tolkien, che spazia dalle Nursery Rhymes di Mother Goose ad Alice in wonderland di Carrol, ai Jungle Books di Kipling e afferma che:
“Fantasy in The Lord of the Rings has been pushed to its logical limits, beyond Kipling, and beyond Carrol too, finally presenting itself to itself as a peculiar combination of literary conventions.”
Ma qual è l’opinione di Tolkien? Nel 1950 così egli presentava il suo libro agli editori:
“il mio lavoro è sfuggito al mio controllo e ho prodotto un mostro: un romance estremamente lungo, complesso, piuttosto amaro e piuttosto terrificante, inadatto a ragazzi (ammesso che sia adatto a qualcuno)”
E ancora, in una lettera a Manlove del 1967, affermava
The Lord of the Rings fu un tentativo intenzionale di scrivere una fiaba per adulti.
Queste due definizioni indicano l’incertezza di Tolkien stesso riguardo all’attribuzione della sua opera a un genere preciso. Ciò conferma il carattere sincretico di tale opera che usufruisce di stili, motivi e tecniche propri di generi diversi. La seconda affermazione poi, contiene un elemento fondamentale per la nostra ricerca. “Una fiaba per adulti” dice Tolkien. Da questa definizione partiremo per vedere in cosa quest’opera magmatica possa essere considerata una fiaba e come Tolkien abbia sfruttato il materiale fiabesco indirizzandolo ad un pubblico adulto. The Lord of the Rings è complesso, sfaccettato, concerne valori esistenziali di notevole profondità, tali da avvicinare l’opera al romanzo moderno.
Vladimir J. Propp, autore di un famoso studio sulla fiaba popolare, Morfologia della fiaba, del 1928, così la definisce
“Da un punto di vista morfologico possiamo definire fiaba qualsiasi sviluppo da un danneggiamento (x) o da una mancanza (x) attraverso funzioni intermedie fino a un matrimonio (n) o ad altre funzioni impiegate a mo’ di scioglimento. A volte servono da funzioni i finali la ricompensa (z), la rimozione del danno o della mancanza (Rm), il salvataggio dall’inseguimento (s) etc.”
Più specificamente, Stith Thompson, in La Fiaba nella tradizione popolare, del 1946, usa il termine “maerchen” per indicare una fiaba di una certa lunghezza, con una successione di motivi ed episodi, che si muove in un mondo irreale, senza una precisa definizione di luoghi e di personaggi, piena di cose meravigliose.
continua…




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