Magazine Ecologia e Ambiente
Nell’ottobre del 2008, in piena crisi, il sindaco di Londra, Boris Johnson, inaugurando un enorme centro commerciale, invitava la gente ad uscire ed andare a spendere. Del resto lo stesso Presidente USA, George W. Bush all’indomani dell’ 11 settembre suggeriva agli americani di “uscire a fare spese”. E, se non ricordo male, lo stesso suggerimento era solito darlo ancora nel Natale di 2 anni fa il nostro Presidente del Consiglio, come rimedio alla crisi economica: “Italiani, spendete e non risparmiate!”
Ma siamo proprio sicuri che questa sia la soluzione giusta? Come possiamo conciliare la crescita costante dei commerci, il continuo aumento della popolazione, il costante e progressivo consumo delle risorse del pianeta in un ambiente comunque limitato e “finito”?
Tim Jackson, professore di Sviluppo Sostenibile all’Università del Surrey (Inghilterra), prova a fornire una risposta adeguata a questa domanda con la sua pubblicazione dal titolo: “Prosperità senza crescita”- Economia per il pianeta reale- (Edizioni Ambiente, pp. 300, €. 24,00).
"In un mondo in cui 9 miliardi di persone (lo si prevede per il 2050 ndr) volessero raggiungere il livello di benessere atteso per le nazioni dell’OCSE, ci sarebbe bisogno di un’economia pari a 15 volte quella attuale – sostiene Jackson – ma nessun sottosistema di un sistema finito può crescere all’infinito: è una legge fisica." Pertanto dobbiamo, per forza di cose, mettere in dubbio che la crescita sia davvero la soluzione. L’idea di un’economia che non cresce è un’eresia per gli economisti; ma, parimenti, anche l’idea di un’economia in costante crescita è un anatema per gli ecologisti! Allora, che fare?
Come ormai ci sentiamo rispondere da più parti, la crisi economica ci offre un’opportunità unica di investire in questo necessario cambiamento. Si tratta cioè di trovare una strategia nuova che consenta all’uomo di garantirsi un certo benessere entro però quei limiti ecologici richiestigli dal fatto di vivere in un ambiente delimitato ed oltremodo stressato dallo sciagurato sfruttamento ad opera dell’uomo.
Nella prima parte del suo libro Jackson cerca di spiegare i mali dell’economia capitalista partendo proprio dal suo sistema fondato sul meccanismo del “debito”, cercando di spiegare le differenze esistenti tra debito privato (quantità di denaro dovuta dai cittadini), debito pubblico (quantità di denaro dovuta dal governo al settore privato) e debito estero (insieme di debiti che governo, imprese e famiglie hanno fuori dal proprio paese). Il nostro sistema economico, di fatto, incoraggia i suoi attori ad indebitarsi; pensiamo ad esempio ai meccanismi pubblicitari che tendono a creare bisogni fino a quel momento inesistenti e spesso superflui, al desiderio di possedere un oggetto in quanto esso ci qualifica come appartenenti ad un determinato ceto sociale, al sistema degli incentivi ideati per promuovere le vendite nei negozi. Il punto è che quando questa strategia diviene insostenibile, come accaduto nel 2008, ampie fasce di popolazione rischiano di trovarsi a fronteggiare enormi difficoltà per molto tempo.
La cultura del “prendi in prestito e spendi” non favorisce la prosperità, semmai la mina. Ma quella che Jackson definisce “l’età dell’incoscienza”, appunto fondata sulla propalazione all’infinito del sistema debitorio, non è fenomeno isolato di determinati gruppi di persone. Si tratta di una prassi divenuta col tempo consuetudine e adottata a sistema definitivo all’unico scopo di poter protrarre il più a lungo possibile il meccanismo della crescita economica. Una bella frase del Cardinal Dionigi Tettamanzi riussume perfettamente il quadro: "L'uomo dovrebbe consumare per vivere, non vivere per consumare".
La vicenda del crac Parmalat così ben delineata, nella sua tragicità, nel recente film di Andrea Molaioli ,“Il Gioiellino” è a mio parere emblematica dei nostri meccanismi comportamentali. Una società tenta di risolvere il proprio indebitamento facendo ulteriori debiti, a cui fanno seguito altre richieste di prestito alle banche che provocano ulteriori debiti fino a quando, inevitabilmente, giunge il momento in cui non sarà più possibile andare avanti.
Lo stesso discorso - spiega molto bene Tim Jackson - lo possiamo fare trasferendo il meccanismo d’indebitamento dal piano economico e finanziario a quello ambientale. Nei confronti della natura e delle sue risorse l’uomo occidentale si sta comportando esattamente allo stesso modo. In questo caso un esempio illuminante è rappresentato dal calcolo dell’Impronta Ecologica che mostra in maniera lampante come l’uomo stia da tempo consumando più risorse di quante la natura possa mettergli a disposizione per il tempo fisiologicamente necessario a ricostituirle con il risultato che la prosperità di oggi è di fatto sottratta alla prosperità delle generazioni future.
L’autore di questo testo si propone di ridefinire il nostro concetto di prosperità che dovrà necessariamente basarsi su valori diversi da quelli attuali, adottando una serie di nuovi parametri. Dovremo innanzitutto rifiutare quella logica dell’abbondanza da sempre legata alla nostra idea di prosperità, indirizzandoci invece nell’uso dei beni materiali ad un maggiore senso di consapevolezza, responsabilità e condivisione.
Vi è una considerazione su tutte che credo meriti attenzione: se alcuni diritti fondamentali quali quello alla salute, all’istruzione ed alla speranza di vita risultassero strettamente dipendenti dal livello di reddito crescente, allora per l’uomo sarebbe pressoché impossibile raggiungere la felicità in assenza di crescita economica. Ma questo non è vero; l’uomo, secondo Jackson, potrà comunque raggiungere lo stadio di benessere a patto che cambi la propria mentalità. In questo ambito viene introdotto il concetto di “decoupling” ovvero del fare di più con meno: più attività economica con meno danni ambientali, più beni e servizi con meno consumi ed emissioni, in altre parole, con maggiore efficienza. Ma al contempo Jakcson ci mette in guardia dalle facili illusioni: non è pensabile risolvere tutti i nostri problemi solo attraverso il miglioramento della nostra efficienza. Se ad esempio decido di cambiare tutte le lampadine di casa e nell’arco di un anno risparmio mille euro di consumo di elettricità e poi uso il denaro risparmiato per acquistare un biglietto aereo per i Caraibi, sicuramente trascorrerò una settimana in un isola da sogno, però avrò vanificato in poche ore tutto il risparmio, in termini di emissioni, ottenuto! In sostanza, l’efficienza energetica se da un lato è una strategia indispensabile a promuovere il cambiamento, dall’altro potrebbe contenere un risvolto negativo in quanto potenzialmente essa può incentivare a sua volta la crescita economica in settori paralleli a quello dove si potrà ottenere una riduzione dei consumi. La sola efficienza - sostiene dunque Jackson - non potrà mai permetterci di raggiungere la sostenibilità.
Un' altra delle strade suggerite dall'autore è quella di mutuare la strategia avviata negli anni’30 del secolo scorso dal presidente americano F. D. Roosevelt e che non a caso è definita “Green New Deal”: il settore pubblico dovrà investire in nuove tecnologie che possano apportare un deciso cambiamento in termini di sicurezza energetica, infrastrutture a basso impatto ambientale e salvaguardia della natura che a loro volta potrebbero liberare risorse per i consumi e gli investimenti delle famiglie attraverso la riduzione dei costi dell’energia. La riduzione della nostra dipendenza dai combustibili fossili (con quello che ne conseguirebbe anche in termini geopolitici) potrà a sua volta creare invece maggiore occupazione nel settore della green economy, ridurre la produzione di emissioni climalteranti, o in conclusione migliorare la qualità dell’ambiente nel quale viviamo.
In particolare, l’autore si sofferma ad analizzare il sistema dei cosiddetti “incentivi verdi”, a suo parere essenziali per il lancio definitivo di queste strategie, e cita come esempio particolarmente virtuoso quello della Corea del Sud, che negli ultimi anni ha stanziato addirittura l’80% del proprio pacchetto globale d’incentivi destinandolo ad obiettivi ambientali. Si stima che in questo modo essa creerà nel giro dei prossimi quattro anni ben 960.000 nuovi posti di lavoro.
Ma questa strategia risulta ancora lontana dall’essere adottata in gran parte del resto dei paesi del pianeta. L’Italia, ad esempio, nel 2009 ha destinato appena l’ 1,3 dei suoi incentivi alla componente “verde”, a fronte del 37,8 % della Cina, del 58,7% dell’Unione Europea e del 21,2% della Francia. Gli Stati Uniti si sono per ora fermati al 9,8%.Investire nella costruzione di nuove strade, per esempio, può in effetti garantire nell’immediato la conservazione di posti di lavoro e ridare slancio all’economia. Ma se l’incentivo viene usato per finanziare interventi ad alto impatto ambientale, in futuro potrebbe essere impossibile riportare le emissioni al di sotto dei livelli che oggi inseguiamo.
Provando a sintetizzare l’elenco delle proposte - per le quali comunque rimando come sempre alla lettura del volume - un’altra delle soluzioni avanzate dallo studioso inglese è quella della riduzione dell’orario di lavoro, secondo la ormai vecchia formula “lavorare meno, lavorare tutti”, questo anche perché secondo Jackson accorciare la settimana lavorativa consentirebbe di avere a disposizione maggior tempo libero da utilizzare per noi stessi, la famiglia, i nostri passatempi, ma – perché no – anche per l’impegno sociale come le attività di volontariato.
Altra strategia auspicata è poi quella del potenziamento della ricerca tecnologica – ovvio - in direzione della sostenibilità. Gli investimenti, secondo Jackson, dovranno essere principalmente dirottati sulla produttività delle risorse, le fonti energetiche rinnovabili, le tecnologie “pulite”, i business “verdi”, l’adattamento climatico e la valorizzazione dell’ecosistema.
Ma – ci ribadisce più volte nelle sue pagine l’autore - la strategia principale dovrà essere quella di combattere drasticamente il “consumismo” considerato da Jackson il vero cancro dell’attuale sistema. Dovremo cioè contribuire alla creazione di un nuovo “edonismo alternativo” individuando fonti di soddisfazione che esulino dal mercato tradizionale. I valori materialistici come la fama, l’immagine e il successo finanziario si oppongono a livello psicologico a valori intrinseci come l’accettazione di sé, l’appartenenza ad un gruppo sociale o il sentire di far parte di una comunità. Ma proprio questi ultimi sono gli ingredienti della nuova prosperità. Le indagini in questo settore dimostrano del resto come le persone con valori intrinseci più elevati abbiano una vita più soddisfacente e al contempo dimostrano livelli di responsabilità ambientale più alti rispetto a quelle con valori materialistici. Ma per favorire questo cambiamento strutturale sarà altrettanto indispensabile il ruolo della politica, fino ad oggi più sensibile a soddisfare la pancia dei propri elettori in cambio del loro assenso, piuttosto che a rivestire un ruolo guida verso un cambiamento virtuoso di tutta la società.
L’ultimo capitolo del libro è dedicato a quello che dovrà essere un inevitabile periodo di transizione dall’attuale sistema consumistico alla nuova era di prosperità. Stabilire i limiti sull’utilizzo delle risorse e fare in modo che le attività economiche siano molto più consapevoli, fissare tetti massimi di utilizzo delle risorse e per le emissioni prodotte, saranno i primi passi imprescindibili. A tal proposito Jackson elogia il lavoro svolto nel corso degli anni, e già a partire dal 1992, da parte degli Amici della Terra nello sviluppo del concetto di "spazio ambientale" definito come quantitativo di energia, di risorse non rinnovabili, di territorio, acqua, legname e di capacità di assorbire inquinamento che può essere utilizzato a livello mondiale o regionale pro capite senza determinare danni ambientali. Proprio da questa valutazione potrà derivare l’elaborazione di politiche adeguate ad assicurare lo sviluppo sostenibile ed un’equa condivisione.
L’investimento ecologico dovrà essere indirizzato invece alla riqualificazione edilizia e all’implementazione di sistemi a basso impatto e basso consumo energetico; sviluppare tecnologie basate su fonti rinnovabili; riprogettare le reti di distribuzione dei servizi di pubblica utilità; potenziare le infrastrutture per il trasporto pubblico; ampliare le aree pubbliche quali zone pedonali, spazi verdi, biblioteche; salvaguardare e valorizzare gli ecosistemi.
E’ evidente che raggiungere questi obiettivi sarà una sfida enorme, siamo tuttavia con le spalle al muro e dunque non abbiamo poi molte altre scelte. La nostra unica possibilità è lavorare per questo cambiamento, credendoci fino in fondo.
“L’animale umano è una bestia condannata a morire che, se ha mezzi, compra, compra e compra. E la ragione per cui compra tutto quello che può è l’assurda speranza che fra le molte cose ci sia la vita eterna”. (Tennessee Williams)
Michele Salvadori
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