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Prospettive 'altre' nella percezione della vita

Creato il 20 giugno 2011 da Ladridibellezza
Scrivo spesso del modo in cui il nostro soggettivo punto di vista, le nostre esperienze, il nostro specifico passato, ci portino a valutare un determinato oggetto/evento in un modo piuttosto che un altro. Ovvero, detto in termini fenomenologici, dell'oggetto/evento non potremmo mai cogliere l'essenza - e quindi nel nostro caso non esisterebbe qualcosa di 'bello' in sé - ma potremmo soltanto discutere del modo in cui lo percepiamo.
Premesso ciò, io ho spesso cercato sguardi 'altri' rispetto a quelli ricorrenti nelle diverse comunità umane proprio perché sono attratta dalla diversità in cui si esprime l'essere umano sul pianeta. La diversità poteva essere di ordine culturale oppure poteva esistere anche all'interno di una stessa comunità nel caso di individui che in qualche modo fossero 'diversi' - e mi riallaccio qui al post di Alberto della settimana scorsa.
Ma anche non riferendosi a disabilità permanenti - sulle quali appunto da quel post abbiamo imparato una bella lezione - le medesime malattie croniche e in vario modo invalidanti, specie quando ti mettono una sorta di potenziale 'data di scadenza' ravvicinata al corpo e alla vita, ti cambiano molta della tua percezione dell'esterno. E ti rendono tutto dannatamente intenso, felice e appassionante. Te lo rendono 'denso' di una bellezza assoluta. Perché ammantata di bellezza è la relazione che vivi da quel momento in poi con la vita stessa, e con qualsiasi componente ne faccia parte - nel bene e nel male.
In rete ho trovato nel tempo due amici che oggi derubo parzialmente di due loro post - sperando non ne abbiano a male - perché parole migliori non avrei saputo trovare per esprimere qualcosa che provo quotidianamente anche io. Sono parole che mi devastano emotivamente ogni volta che le leggo, ma è una buona devastazione. Spero sarà così anche per voi. Buona lettura, e buona vita!
Io ridevo, di Gio
Me ne stavo li nel mio letto d'ospedale: 42 chili, sudato, con il dolore di ogni giorno messo in ombra da quello violento del ricovero.
Ero uno scheletrino, e sfiguravo perfino a cospetto degli anziani che erano in stanza con me.
Me la passavo piuttosto male: tre drenaggi affondati dentro, senza più forze, provato da un'esperienza davvero difficile.
Chiuso in un ospedale malandato, era un luglio infuocato, dentro mi agitava il terrore di prendermi un'infezione cattiva, come quella che mi aveva quasi ucciso da bambino.
Non riuscivo neppure ad ascoltare la musica, era terribile la pressione del mio cervello sulle pareti del cranio, nè potevo girarmi sul fianco, e la mia schiena era sfondata da un materasso scomodo, e la canottiera sempre bagnata di sudore, e la mia pelle si faceva trasparente e pallida.
E io ridevo.
Ridevo perchè pensavo a tutte le donne cui avrei fatto una corte sfrenata, ed erano già tutte bellissime, e perfino i loro due di picche erano meravigliosi.
E con l'immaginazione ero di nuovo in Piazza Duomo, a Milano, dopo aver ripreso da solo il tram per la prima volta, e i miei cani, al ritorno a casa, ne ero sicuro, m'avrebbero adorato, perchè l'avrebbero capito alla perfezione.
E' per questo che amo la vita.
Perchè vista da qui è bellissima.
*****
il mio corpo, di FrammentAria (sì, proprio la FrammentAria della nostra banda!)
eco
Non ho mai avuto il culto del mio corpo. E' pur vero che vivo intensamente il mio corpo. Attraverso esso. Ho bisogno di toccare, di sentire con le dita la tessitura di un oggetto, le pulsazioni di una pelle, la frescura del mare. Ho bisogno di camminare a piedi nudi, sentire le venature del legno, affondare le dita nella sabbia. Ho bisogno di guardare. Dio! Divoro il mondo con gli occhi. Se guardo un albero lontano cerco di sentire le foglie tra le dita, e sento l'odore della corteccia. E ho bisogno di ascoltare. Quanti pomeriggi d'estate passati ad ascoltare il canto delle cicale nel mio giardino. Non ho il culto del mio corpo. Non mi importa se è bello. Ma è la mia voce. E ho sempre creduto fosse mio. Di più, ho creduto che il mio corpo fossi io. Che io fossi i miei occhi. E il mio sorriso. E le mie mani. Quando il mio corpo si è ammalato sono rimasta allibita. Si è ammalato senza senza avvisarmi. Da sé. Si è lasciato aggredire senza dirmi nulla. Può uccidermi il mio corpo! Come può farmi una cosa simile? E all'improvviso il mio corpo non è più mio. E' un estraneo. Non posso far nulla. Non è come decidere di aprire gli occhi e aprirli. Non è come decidere di toccarsi i capelli e toccarseli. Non è come decidere di correre e correre. Non è più mio. E così rimango sola. Senza il mio corpo che m'ha tradita. E la paura invade ogni poro. E' la paura di non sapere. Non sapere cosa accade dentro di te. Se il tuo corpo è ancora con te o ha deciso di abbandonarti. E ti manca l'aria. E non riesci più a guardare. A toccare. A respirare. Finché non ti accorgi che così anche tu ti abbandoni. E allora faticosamente ricominci. apri gli occhi e guardi, ti tocchi i capelli, corri....fino a quando? Non lo so. Mi curo. Guarisco. Mi controllo. Non so ciò che sarà domani. Faccio pace col mio corpo. Non posso far altro. Accettare la paura, e considerarla parte di me. Ho due braccia, due gambe, la pelle bianca, i capelli ramati, e la paura. La lascio scorrere sotto pelle. E vivo. Com'è bella quella nuvola bucata da un raggio di sole! E ho amato...e il mio corpo è stato di nuovo mio. Come è bello l'odore dell'amore, e le carezze dell'amore, e gli sguardi dell'amore, e la voce dell'amore. Sentire l'amore che mi attraversava la pelle, e mi penetrava fin nelle viscere. ogni parte di me ne era inebriata.  E il corpo è stato di nuovo mio.

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