di Alessandra Laricchia, pubblicato in “Rapporto Svimez 2012 sull’economia del Mezzogiorno”
Introduzione
Il Nord Africa è stato l’epicentro della cosiddetta «primavera araba», con cui i longevi regimi di Egitto, Libia e Tunisia sono crollati. Le rivoluzioni in quei tre paesi, così come le manifestazioni in Marocco e Algeria, sono scaturite da una repressione politica decennale e dal malcontento legato alla mancanza di opportunità economiche, all’aumento del costo della vita e al crescente divario tra ricchi e poveri.
Per più di tre decenni le economie del Nord Africa, anche per effetto di profonde disuguaglianze distributive del reddito, non sono riuscite a offrire sufficienti posti di lavoro per assorbire sia i lavoratori disoccupati preesistenti sia per fronteggiare la rapida crescita dell’offerta di lavoro derivante da una fortissima crescita demografica.
Dopo un periodo di rapida crescita e creazione di posti di lavoro dal 1960 al 1980, la produzione e l’occupazione sono entrate in una fase di stallo e tra il 1980 e il 2010 la crescita del reddito pro capite nella regione ha raggiunto soltanto la media dello 0,5% l’anno. La disoccupazione ha raggiunto in media circa il 12% negli ultimi due decenni. I picchi, secondo i più recenti dati, in Tunisia (14,2%), Algeria (11,4%), Marocco (10%) ed Egitto (9,4%).
Lenta crescita economica, scarsa elasticità dell’occupazione e rapido aumento della popolazione hanno generato una gravissima situazione, soprattutto tra le nuove generazioni. Il tasso medio di disoccupazione per la fascia d’età tra i 15 e 24 anni, infatti, raggiunge circa il 30% in Nord Africa, più del doppio rispetto alla media mondiale del 13%. Con una situazione ancor più grave in Egitto e Tunisia. Dato ancor più allarmante è che la disoccupazione è maggiormente concentrata nella fascia dei giovani istruiti. In Egitto, ad esempio, il più alto tasso di disoccupazione è proprio tra i laureati e in Tunisia il tasso di disoccupazione tra i laureati nel 2007 è arrivato al 40%.
Il problema dell’occupazione giovanile in gran parte riflette una scarsa organizzazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche a livello interregionale ed europeo, ed un grave scollamento tra le competenze dei giovani lavoratori e le esigenze dei datori di lavoro del settore privato. Il sistema formativo e le imprese, infatti, non sono riusciti finora a trasmettere le competenze e il know how necessari in un mondo del lavoro globalizzato, non rispondendo cos. alla sfida, cruciale per il Nord Africa di oggi, di creare circa 27 milioni (1) di nuovi posti di lavoro.
Rivolte e crisi in Nord Africa
Negli anni immediatamente precedenti la «primavera araba», il Nord Africa ha conosciuto tra i più alti tassi di crescita del PIL di sempre, registrando tra il 1998 e il 2008, valori medi tra il 4,5% e il 5,5%. Successivamente, la limitata esposizione ai mercati internazionali ha in parte protetto il Nord Africa dall’impatto della crisi finanziaria globale del 2008 e il recupero, pur non così impressionante come quello di altri paesi in via di sviluppo, è stato piuttosto incoraggiante.
Si sono poi succeduti lo shock della crisi finanziaria del 2009 e, soprattutto, l’impatto dei movimenti politici e sociali del 2011, che hanno minato nel breve periodo la stabilità macroeconomica del Nord Africa, pur aprendo la strada a prospettive di democratizzazione in un arco ti tempo più ampio.
Come conseguenza degli eventi si considera corretto analizzare da una diversa prospettiva i paesi della regione: se in precedenza si usava raggruppare i paesi seguendo il criterio della presenza di industrie estrattive, è ora necessario considerare la dimensione dei fenomeni dei sommovimenti popolari (2). Tali manifestazioni, pur avendo riguardato l’intero Nord Africa, hanno assunto connotazioni differenti: in alcuni Stati hanno scatenato forti rivoluzioni con effetti immediati ed evidenti, mentre in altri la transizione è stata graduale con effetti meno dirompenti.
Algeria, Mauritania e Marocco
Sebbene i paesi del Nord-Ovest della regione non abbiano vissuto vere e proprie rivoluzioni, anche quest’area è stata interessata da crescenti tensioni sociali sfociate in sporadiche manifestazioni. La minore intensità dei fenomeni rivoluzionari in Algeria, Marocco e Mauritania, ha quindi permesso una migliore stabilità economica, seppur per diverse ragioni.
La crescita economica dell’Algeria è stata trainata soprattutto dal settore degli idrocarburi e dall’alta spesa pubblica, sostenuta da un programma di investimenti e da una crescita della domanda interna. Escludendo il settore idrocarburi, la crescita è stata trainata dal settore costruzioni (10%) e agricoltura (9%). Per quest’ultimo settore, in particolare, la dinamica positiva può essere attribuita all’espansione delle aree irrigate, che nel 2011 hanno raggiunto più di un milione ettari. Si stima per il 2012 una crescita economica del 3,1% e nel 2013 del 4,2%.
In Mauritania, l’estrazione mineraria ha contribuito in modo significativo alla forte e costante crescita, dovuta principalmente ad un aumento del prezzo dell’oro. Altro fattore di rilievo è l’abbondanza di risorse ittiche, con un aumento delle esportazioni legate alla pesca del 29,7% in termini reali. Tendenza che dovrebbe proseguire nel 2012 con il rinnovo degli accordi con l’Unione europea e i nuovi accordi con Cina e Algeria.
Il settore rurale è stato, invece, duramente colpito dalla siccità con conseguente riduzione nella produzione agricola. Le stime più ottimistiche indicano un calo della produzione del 75%, una tendenza allarmante dato che il settore rurale impiega il 67% della forza lavoro e rappresenta circa il 13% del PIL.
La crescita del PIL del Marocco ha raggiunto il 4,6% alla fine del 2011, supportato dalla fiorente domanda interna e dalle positive prestazioni industriali. A livello settoriale, l’agricoltura ha beneficiato delle condizioni meteo favorevoli e dell’impatto iniziale del Piano Verde per il Marocco. Per quanto riguarda le attività non agricole il Marocco ha continuato a registrare una crescita del settore secondario (4,6%) e del settore terziario (4,2%), con una tendenza che probabilmente continuerà nel 2012.
Si registra, inoltre, dal lato della domanda, la costante crescita del consumo delle famiglie, che ha rappresentato quasi il 60% del PIL nel periodo 1980-2010, e dell’aumento degli investimenti interni.
Tunisia, Egitto, Libia
Nel 2011 le economie del Nord-Est del Nord Africa sono state costrette ad affrontare forti pressioni dovute alle rivoluzioni verificatesi nei rispettivi paesi, nonché ulteriori tensioni create dall’instabilità nei paesi confinanti. Sebbene la crescita economica sia fortemente compromessa per tutti e tre gli Stati, un miglioramento della stabilità politica potrà essere verosimilmente in grado di affrontare le nuove sfide, in quanto si tratta di economie con elevato potenziale di sviluppo.
La fiducia degli investitori e dei consumatori ha subito un duro colpo durante la rivoluzione in Egitto. La chiusura di Banche e Borsa, il crollo del turismo ed una serie di scioperi hanno ulteriormente influito negativamente sulla situazione. Il turismo e il settore manifatturiero e delle costruzioni hanno avuto una rapida ripresa nella post rivoluzione, ma continuano a produrre a livelli inferiori al passato (la contrazione del turismo è stata pari al 5,9% nel 2011). La disoccupazione, come diretta conseguenza, è aumentata, raggiungendo quasi il 12% e il tasso di disoccupazione giovanile circa il 24% (3). A ciò si aggiunge un forte calo degli investimenti diretti esteri (FDI), diminuiti del 67,6% nel solo 2011.
L’economia della Libia, che in precedenza aveva raggiunto livelli rilevanti di crescita, attribuibili perlopiù al settore degli idrocarburi, è stata gravemente compromessa dalla guerra civile del 2011. Oltre all’impatto sulla liquidità causato dal congelamento dei beni del Paese, l’economia è stata particolarmente colpita dagli effetti della guerra sul comparto petrolifero e dal declino della produttività associata alla perdita di capitale umano e alla distruzione delle infrastrutture del Paese. Circa il 70% del PIL della Libia è, infatti, generato dal settore idrocarburi ed esportazioni. Nel 2011 il PIL è crollato al –41,8% e si prevede che nel 2012 recupererà il 20%, a seguito degli sforzi di ricostruzione del Governo.
La rivoluzione libica, inoltre, ha avuto importanti effetti a catena per Egitto e Tunisia. In particolare, ha portato al ritorno di più di 100.000 migranti lavoratori in Egitto e Tunisia.
In Tunisia si è stimato che i danni derivanti dalla rivoluzione ammontano al 4% del PIL. La situazione di insicurezza e le tensioni sociali hanno, infatti, provocato drastiche riduzioni nel 2011 delle entrate derivanti dai turisti stranieri (–46%) e degli investimenti esteri (–27%). Come conseguenza, il PIL ha subito una contrazione del 1,1%.
Un interrogativo cruciale per la Tunisia (dove il terzo trimestre conta mediamente quasi il 40% del totale degli arrivi turistici annuali) è il numero di turisti che visiteranno il Paese durante il picco stagionale.
Le prospettive per il 2012 evidenziano complessivamente un miglioramento che dovrebbe riguardare tutti i paesi nordafricani, con l’eccezione dell’Egitto. In particolare, le economie del Nord Africa che hanno avuto fenomeni rivoluzionari meno ampi, per l’attuazione di alcune riforme economico-sociali, dovrebbero recuperare i livelli di crescita del 2010.
Per Algeria, Mauritania e Marocco, infatti, l’African Development Bank stima un tasso di crescita rispettivamente del 3,1%, 4,7% e 4,5%. L’inflazione attesa è in crescita in Marocco, pur rimanendo moderata (1,6%), mentre dovrebbe rimanere stabile in Algeria (4,3%) e Mauritania (6,0%). Tali risultati associati ad una razionalizzazione della spesa pubblica, ad un incremento della riscossione delle imposte e alla ripresa di settori chiave, come agricoltura e materie prime, dovrebbero consentire a questi paesi di rafforzare il loro equilibrio macroeconomico.
Il Marocco, inoltre, potrebbe beneficiare della ripresa in atto nel settore manifatturiero e di una nuova unità produttiva nel settore automobilistico.
Il recupero dei paesi nordafricani che hanno vissuto la rivoluzione dipenderà, invece, dal processo di transizione di breve termine. . necessario migliorare la sicurezza dei territori, ricostruendo cos. la fiducia degli investitori esteri. Partendo da queste premesse, la crescita economica prevista per il 2012 è dello 0,8% in Egitto, 2,5% in Tunisia, e 20% in Libia.
La moderata prospettiva di crescita per l’Egitto si spiega con l’attuale clima di insicurezza e l’elevato livello di disoccupazione. Inoltre, la perdita di fiducia nelle istituzioni potrebbe portare ad un processo di «dollarizzazione», a sfavore della valuta nazionale, che avrebbe conseguenze drammatiche sul funzionamento del settore bancario e sulle attività economiche, in particolare delle PMI (4).
In Tunisia le autorità sono ottimiste circa il recupero delle attività economiche, in particolare dell’agricoltura e delle industrie di fosfato e raffinazione. Il recupero economico nel 2012 dipenderà dalla normalizzazione della situazione politica dopo le elezioni di ottobre e dall’impatto del piano di recupero attuato nella primavera del 2011.
La rinascita del settore petrolifero libico offre speranze di una ripresa in tempi relativamente brevi per l’economia del Paese. Nonostante l’arresto completo della produzione e delle esportazioni di petrolio tra aprile e la fine di agosto 2011, alla Libia è stato concesso da parte dell’OPEC di mantenere la sua quota di produzione ufficiale di 1,47 milioni di barili al giorno e nel mese di settembre 2011 la Libia ha ripreso la produzione. Si ritiene che con il ritorno dei proventi del petrolio dovrebbe tornare a crescere anche il settore non petrolifero e che la ricostruzione, sostenuta in parte dalle riserve della Banca Centrale (150 miliardi di USD), supporterà i settori delle costruzioni, servizi, comunicazioni, trasporti e settori finanziari, stimolando la crescita a un livello molto elevato (PIL del 2012 stimato pari a 20,1%).
Per i tre paesi l’inflazione dovrebbe ritornare agli stessi livelli degli anni precedenti a causa di prezzi alimentari più bassi (Egitto, Libia) e azioni di politica monetaria (Egitto).
L’incertezza e la percezione di insicurezza continueranno ad influenzare il turismo e gli investimenti privati in tutta la regione. Per il 2011 le entrate derivanti dal turismo sono in diminuzione in Egitto e Tunisia fino ad un punto percentuale del PIL. E gli FDI in entrambi i paesi vedranno una contrazione tra l’uno e il due per cento del PIL.
L’esperienza del passato suggerisce, tuttavia, che il turismo potrebbe recuperare abbastanza rapidamente. Ad esempio, dopo gli attacchi terroristici a Luxor nel novembre 1997, gli arrivi turistici in Egitto crollarono di circa la metà, ma recuperarono completamente dopo circa un anno. Studi internazionali su differenti paesi hanno, infatti, evidenziato che il turismo risponde velocemente alle esplosioni di violenza e indicano che l’effetto è generalmente transitorio. Secondo tali studi, i tempi di recupero stimati vanno dai 2 ai 21 mesi (5).
Per quanto riguarda gli investimenti ci saranno tempi più lunghi di recupero, in quanto gli investitori rimangono alla finestra, in attesa delle decisioni di politica economica dei nuovi Governi.
Per il PIL dell’intera area del Nord Africa c’è da considerare un rallentamento ad un livello inferiore all’1% nel 2011, dal 4,6% del 2010. Mentre per il 2012, assumendo un ritorno ad una situazione di stabilità, si prospetta un ritorno alla crescita pari al 5%.
Si rileva che di norma l’intera area nordafricana pesa sul PIL del continente circa un terzo e gli straordinari eventi della «primavera araba» hanno influito negativamente sulla crescita dell’Africa per più di un punto percentuale.
Il mercato del lavoro in Nord Africa
Le cause profonde della «primavera araba» e le motivazioni che hanno spinto in differenti paesi cos. tanti giovani a scendere in piazza, anche a costo della vita, fanno sorgere pressanti interrogativi. Le risposte sono di certo molteplici, ma un fattore comune alla regione è la mancanza di prospettive future per i giovani, che vedono dinanzi a loro un orizzonte fosco. Per i giovani le possibilità di ottenere un lavoro soddisfacente sono molto limitate e nonostante siano più istruiti rispetto alle generazioni precedenti, non riescono a trovare un lavoro che permetta loro di vivere una vita economicamente indipendente.
Dinamiche demografiche e prospettive
Nei prossimi quarant’anni la popolazione mondiale aumenterà di 2 miliardi di abitanti, passando da 7 a 9 miliardi di persone, di cui gran parte nascerà in Nord Africa e Medio Oriente. Nonostante un lieve declino nei tassi di fertilità registrato nella seconda metà del XX secolo, la popolazione di queste regioni continuerà ad aumentare. Ad oggi in Nord Africa risiedono circa 213 milioni di persone e, secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 la popolazione del Nord Africa ammonterà a circa 322 milioni di persone, il quadruplo di quante ce n’erano nel 1950. Il confronto con i numeri dell’Italia è impressionante. Se nel 1950 la situazione non era dissimile, con 46 milioni in Italia e 53 milioni in Nord Africa, attualmente si è passati rispettivamente a 60 e oltre 210 milioni e, nel 2050, a 59 per il nostro Paese e 322 per la sponda sud del Mediterraneo. L’Egitto è il Paese che, in valori assoluti, presenta proiezioni demografiche più accentuate, con un aumento previsto della popolazione tra il 2010 e il 2050 di oltre 40 milioni di abitanti.
Il fattore determinante del cambiamento demografico di questi paesi non è solo il continuo aumento della popolazione, ma anche il cambiamento della distribuzione per età. Il considerevole aumento del numero di giovani (15-24 anni) è conseguenza di quello che gli studiosi hanno definito come youth bulge, cioè il boom di nascite registrato negli anni ’80 e ’90 che, accompagnato da un altrettanto forte declino del tasso di mortalità, si sta traducendo in un aumento rilevante di giovani, cioè di forza lavoro potenziale (6). Oggi, più del 40% (7) della popolazione della regione nordafricana ha un’età compresa tra i 15 e i 24 anni, una percentuale che si riflette sul dato della forza lavoro (8). La popolazione è composta più da uomini che da donne in tutto il Nord Africa e spicca il corposo dato della popolazione egiziana.
Caratteristiche e componenti della forza lavoro
Il tasso di occupazione – un indicatore utile per evidenziare quanto sia efficiente un Paese nell’utilizzare il proprio potenziale produttivo di risorse umane – in Nord Africa è pari al 43,6% (2011), a fronte di una media mondiale del 60,3%. Si tratta di un valore molto basso, principalmente a causa degli scarsi livelli di occupazione di giovani e donne. Il dato rappresenta una realtà in cui su 100 persone potenzialmente attive nel mercato del lavoro, neanche la metà riesce a trovare effettivamente un lavoro.
Il Nord Africa si trova di fronte ad una enorme sfida. Analizzando i tassi di occupazione media della popolazione, di partecipazione alla forza lavoro e di disoccupazione si evidenzia che la regione ha il più basso livello di occupazione e di partecipazione alla forza lavoro, così come i più alti livelli di disoccupazione.
Uno dei principali problemi occupazionali del Nord Africa è la sostanziale sottoutilizzazione del potenziale economico delle donne. Il tasso d’occupazione femminile è assai più basso, così come il livello di partecipazione femminile alla forza lavoro, mentre il tasso di disoccupazione femminile raggiunge livelli elevatissimi.
Mediamente, considerando l’ultimo decennio, in Nord Africa più di due donne su tre non entra nel mercato del lavoro e, tra coloro che vi riescono, più di tre su venti sono disoccupate. Pertanto, l’area pur presentando tassi di partecipazione degli uomini allineati a quelli medi dei paesi sviluppati, manifesta un basso tasso di partecipazione al lavoro prevalentemente a causa della limitata partecipazione femminile.
Non mancano tendenze positive, come in Egitto, ad esempio, ove il tasso di disoccupazione femminile è sceso nel recente passato, da quasi il 25% nel 2005 (contro il 7% per gli uomini) al 19% nel 2008 (rispetto al 6% per gli uomini). Tuttavia, questo risultato è da attribuire ad un rallentamento delle assunzioni pubbliche, che ha portato molte donne istruite ad abbandonare del tutto il mercato del lavoro (9). Le donne egiziane, infatti, tendono a cercare lavoro nel settore pubblico, considerato più egualitario rispetto al settore privato, ove invece permane un grande divario di genere nei salari e nelle opportunità (10).
Analogamente in Marocco i recenti miglioramenti dei livelli di occupazione sono da attribuirsi prevalentemente ad una decrescente partecipazione al mercato del lavoro soprattutto da parte delle donne (11).
La situazione delle donne è particolarmente preoccupante se si analizza la fascia dei 15-24 anni: secondo le più recenti stime dell’ILO (International Labour Organization), nel 2010 i tassi di partecipazione delle giovani donne alla forza lavoro variavano da un bassissimo 8,9% in Algeria, fino ad un ancor poco incoraggiante 24,2% della Libia (v. Tab. 6).
La regione registra anche alcuni dei più alti livelli mondiali di disoccupazione giovanile. Tale fenomeno è particolarmente grave se si considera che spesso i giovani non hanno la capacità di far fronte alla mancanza di reddito da lavoro, nemmeno per brevi periodi, in quanto non hanno ancora accumulato le risorse necessarie per superare eventuali shock sul reddito. Inoltre, si è analizzato che coloro che sono senza lavoro o ne intraprendono uno di bassa qualità nelle prime fasi della carriera possono avere più difficoltà a ottenere successivamente buoni posti di lavoro. Infine, la disoccupazione giovanile può innescare instabilità sociale e disordini, come di fatto è avvenuto nella «primavera araba».
Il tasso medio di disoccupazione per i giovani di età compresa tra i 15 ei 24 anni è di circa il 28% in Nord Africa, rispetto alla media mondiale del 13% (12). Tale valore peggiora ancor di più in Egitto e Tunisia, toccando punte di oltre il 30%.
Nonostante la buona performance di crescita della regione negli ultimi dieci anni, il Nord Africa sembra non essere stato in grado di trasferire questi risultati in maggiori opportunità di lavoro per i giovani. Tra le cause sono da considerare soprattutto l’impatto della recessione globale e l’enorme cambiamento del contesto lavorativo. La popolazione giovanile attuale è nata, infatti, in un’epoca in cui il posto fisso di lavoro nel settore pubblico era la norma e la massima aspirazione, ma è maturata in un’economia sempre più globalizzata in cui emergono differenti esigenze di istruzione e formazione. La combinazione di queste condizioni ha portato ad una gioventù sempre più messa da parte, che ha reagito con le rivoluzioni del 2011. Paradossalmente, l’instabilità creata dalle rivolte 2011, più che migliorare le prospettive economiche dei giovani, ha avuto disastrose conseguenze economiche e paesi come l’Egitto e la Tunisia, le cui economie dipendono dal turismo e dagli investimenti esteri, sono stati duramente colpiti, rendendo il problema della disoccupazione giovanile sempre più urgente e grave. Le prospettive tuttavia, con il superamento dei regimi totalitari, potrebbero essere certamente migliori.
Tra i sei paesi considerati ci sono delle evidenti differenze in termini di disoccupazione giovanile, tuttavia tutti presentano caratteristiche di youth bulge, inadeguatezza della formazione rispetto alle esigenze delle imprese e carenza di posti di lavoro dignitosi, oltre che un alto tasso migratorio che aggrava indirettamente il problema.
Forza lavoro e istruzione
In Nord Africa la disoccupazione tocca tutte le fasce di reddito e, dato che reddito familiare e istruzione sono variabili strettamente legate, si manifesta il paradosso che anche i soggetti con elevato grado di istruzione sono colpiti dalla disoccupazione allo stesso modo di coloro che hanno un basso livello di istruzione. In alcuni paesi della regione, la disoccupazione tra la popolazione altamente qualificata è addirittura superiore rispetto a quella del resto della popolazione.
Questa situazione genera, ovviamente, frustrazione tra i giovani istruiti e anche tra le famiglie che hanno investito nella formazione dei propri figli, esplosa in maniera visibile durante i disordini sociali del 2011.
Una delle cause principali della disoccupazione giovanile consiste, infatti, nella grave mancanza di corrispondenza tra le competenze possedute e quelle richieste dai datori di lavoro, soprattutto del settore privato. Eppure il fallimento del sistema formativo non è dovuto alla mancanza di attenzione o di risorse da parte dei Governi nordafricani. Si sono, infatti, raggiunti importanti traguardi in relazione all’accesso all’istruzione e alla riduzione delle differenze di genere. Tra il 1970 e il 2003 i paesi del Nord Africa hanno quasi raggiunto l’obiettivo della completa diffusione dell’istruzione primaria e visto triplicare le iscrizioni alle scuole secondarie e quintuplicare quelle alle post-secondarie. Negli ultimi 40 anni la regione ha investito in formazione il 5% del PIL e il 20% della spesa pubblica, più di altre regioni in via di sviluppo con simili livelli di reddito pro capite.
Numerosi studi (13) hanno messo in discussione la qualità dell’insegnamento fornito agli studenti, evidenziando la rigidità del sistema di istruzione, che ha spesso un approccio di apprendimento mnemonico a scapito del pensiero critico. Tali studi hanno anche sottolineato lacune nelle competenze scientifiche e trasversali, quali la comunicazione e il problem solving. Pertanto, gli investimenti nel campo dell’istruzione hanno avuto risultati deludenti in termini di aumento dell’occupazione e della crescita economica, soprattutto se paragonata a regioni come l’Asia Orientale.
Le problematiche principali della formazione giovanile possono essere schematizzate come segue:
– mancanza di collegamento con il mondo del lavoro: scarsa collaborazione tra il mondo accademico e l’industria, che colpisce soprattutto i laureati; scarsa capacità di pianificazione per la formazione professionale per le fasce di popolazione meno istruite; mancanza di opportunità di stage, programmi di tutoraggio, orientamento professionale e servizi di collocamento;
– limitata e bassa qualità dell’offerta universitaria: in molti paesi, l’offerta formativa di terzo livello non è aumentata allo stesso ritmo della crescita demografica e soffre spesso di problemi di qualità derivanti dal sovraffollamento, da insegnanti inadeguati, da carenza di infrastrutture destinate alla ricerca;
– discriminazioni di genere: pur essendo aumentato il numero di donne laureate, non è parimenti aumentato il numero di donne lavoratrici a causa di fattori culturali e sociali.
In Marocco, il 61% dei giovani con livello di istruzione secondaria o superiore è disoccupato, rispetto all’8% dei giovani senza formazione. In Tunisia, il 40% dei laureati è disoccupato, contro il 24% dei non laureati. In Algeria, oltre il 34% dei disoccupati hanno completato il ciclo di istruzione secondaria o terziaria.
Sviluppo PMI: sfide e opportunità per il Mezzogiorno d’Italia
I recenti eventi sociali e politici nel mondo arabo hanno contribuito al declino dell’attività economica e all’aumento della disoccupazione, in particolare per i giovani. L’ultimo dato dell’ILO stima per il Nord Africa il tasso di disoccupazione per i giovani dopo la primavera araba al 27,9% e con la popolazione nel mondo arabo destinata a raggiungere i 460 milioni entro il 2025, la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente.
Si può, tuttavia, trasformare tali fattori in un’opportunità di crescita sia per i paesi nordafricani sia per l’Italia, da sempre partner della sponda sud del Mediterraneo, puntando sulla creazione di nuovi e migliori posti di lavoro nei paesi africani e nel miglioramento della mobilità dei giovani talenti.
Il miglioramento delle opportunità di lavoro per le migliaia di laureati nordafricani può esser perseguito con uno sviluppo più attento delle competenze dei giovani attraverso la formazione e un miglior incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Con questo obiettivo, le aziende presenti sul territorio o che intendano investire nell’area potrebbero essere maggiormente coinvolte nel percorso di sviluppo delle competenze, aumentando il numero degli stage e la collaborazione con altre aziende e i governi per creare centri di formazione mirati alle proprie esigenze.
Un altro punto fondamentale nella strategia di accrescimento occupazionale è la facilitazione della mobilità dei talenti tra il Nord Africa e l’Europa, che potrebbe contribuire a migliorare le esistenti esigenze occupazionali delle imprese.
Inoltre, la popolazione europea è sempre più anziana: 50 milioni di lavoratori lasceranno il mercato del lavoro nei prossimi decenni. A tal fine si dovrebbero pre vedere misure volte a consentire una semplificata migrazione dei lavoratori, un maggiore accesso ai visti di breve durata per le alte professionalità ed un miglioramento dell’analisi dei fabbisogni delle competenze per pianificare i flussi necessari di lavoratori.
In questo quadro può aggiungersi il sostegno alle piccole e medie imprese (PMI) che sono considerate la spina dorsale dell’economia della regione. Infatti, nei paesi come il Marocco, per esempio, le PMI costituiscono il 95% del tessuto produttivo. È necessario, tuttavia, non tanto crearne di nuove, quanto consolidare le esistenti, poiché oltre l’80% delle piccole imprese chiudono nei primi due anni di attività. Tradizionali barriere alla crescita delle PMI nella regione nordafricana sono il limitato accesso alla tecnologia, la mancanza di accesso ai capitali, instabilità politica e malgoverno.
Nel quadro strategico delineato per favorire la riduzione della disoccupazione in Nord Africa le aziende medio-piccole del Mezzogiorno potrebbero svolgere un ruolo importante di creazione di posti di lavoro in quei territori. Le PMI del Sud possono rispondere alle esigenze del Nord Africa che necessita di acquisire know how, tecnologie avanzate e organizzazione dei processi.
Per contro, i vantaggi per le piccole imprese che intendono attraversare il Mediterraneo sono molteplici, tra cui poter beneficiare di energia giovane e di talento non sfruttato e in tempi di crisi poter accedere a nuovi mercati di sbocco ancora poco sfruttati e con ampie potenzialità, visto l’elevato tasso di crescita della popolazione. Per essere competitive, tuttavia, le PMI del Sud hanno bisogno di puntare sulle aggregazioni e su forme consortili, perché solo così possono acquisire una massa critica sufficiente a confrontarsi con i nuovi concorrenti internazionali che si affacciano sull’area, in primis la Cina. Difatti, il primo freno nell’approccio all’area è sicuramente la scarsa propensione al partenariato imprenditoriale da parte delle aziende meridionali, che preferiscono tuttora l’export al radicamento sul territorio.
Al contrario, i paesi del Nord Africa chiedono prima di tutto investimenti per il trasferimento di know-how e sviluppo del territorio per poter affrontare il grave tema occupazionale.
Note
(1) D. Schmidt, Decent Jobs for Youth: The Road for Socio-economic Progress and Social Justice, ILO, 2012.
(2) African Economic Outlook 2012.
(3) R. Sahay, Economic Causes and Consequences of Middle East Turmoil, Washington, IMF, 2011. Molto più alte le stime di altri studi, rispettivamente 23% e 55,2%. Si veda la Tab. 10.
(4) FMI, 2011.
(5) B.S. Frey, S. Luechinger e A. Stutzer, Calculating Tragedy: Assessing the Costs of Terrorism, in «Journal of Economic Surveys», Wiley Blackwell, vol. 21, 1, 2007; E. Neumayer, The Impact of Political Violence on Tourism: Dynamic Econometric Estimation in a Cross-national Panel, in «Journal of conflict resolution», 48, 2, 2004
(6) R. Assaad e F. Roudi-Fahimi, Youth in the Middle East and North Africa: Demographic Opportunity or Challenge?, Population Reference Bureau, 2007.
(7) La media mondiale è del 25,7%.
(8) F. Sperotti, Demografia in Nord Africa e in Medio Oriente: una sfida o un’opportunità?, in www.adapt.it, 2011.
(9) R. Assaad, Unemployment and Youth Insertion in the Labor Market in Egypt. ECES Working Paper 118, February 2007.
(10) UNDP, Egypt Human Development Report 2010 Youth in Egypt: Building our Future, UNDP, Egypt Institute of National Planning, 2010.
(11) World Bank, Country Partnership Strategy for the Kingdom of Morocco for the Period FY 10-13, World Bank, Washington, D.C. December 30, 2009c.
(12) ILO, Trends Econometric Models, aprile 2012.
(13) World Bank, The Road Not Traveled: Education Reform in the Middle East and Africa, 2008.