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Prospettive: I fotografi che hanno fatto la storia della Fotografia – Diane Arbus – Omaggio di parole

Da Wsf

La cosa che preferisco è andare dove non sono mai stata.

Diane Arbus

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“L’occhio di Diane”

Forse il tuo era l’ultimo vero Occhio della nostra epoca. Così diverso dagli altri, così raro, così prezioso e, ormai, così perduto. Andavi oltre. Vedevi l’anima. Non sapevi cosa fosse il normale per i normali, né cosa fosse l’anormale, non sapevi niente del mondo che ti circondava. Seguivi il tuo Occhio, gli hai dato un corpo meccanico, e con quello hai fatto vedere qualcosa anche a noi. Ci hai lasciato delle lezioni, dei piccoli insegnamenti per la nostra anima. Ci hai dato modo di sovrapporre il tuo Occhio ai nostri, di aprirci, di imparare.

Non c’è niente di normale nel corpo umano. Il concetto stesso di normale non può esistere, non deve, è ingiusto; così deve cadere anche l’anormalità, parte marcia del marcio, bruttura delle brutture.
Normale è la parola peggiore che esista. Il normale si arroga il diritto di decidere cosa è giusto e sbagliato, dà a chi si definisce normale il potere di giudicare chi lo è e chi non lo è – e giudica in base alle similitudini, e le similitudini sono storpiature, brutte copie, banalità che si imitano a vicenda. I normali sono cloni inutili e incolori che giudicano in base a chi trova altrettanto simile – ovvero altrettanto brutto, inutile e banale. I normali sono tanti, perché il marcio è tanto. E tanti si definiscono normali. È così che nasce l’ anormale, ed è un dispregiativo: l’anormale è diverso ed il diverso è orribile, il diverso è diverso, il diverso non può stare con noi, il diverso va eliminato. Il normale è mostruoso perché dà potere al banale. E il banale è peggio che mostruoso, è il nulla. Perché cerca di annullare tutto quello che tocca. Tu lo sapevi, Diane. Combattevi con le immagini. Abbattevi in silenzio i pregiudizi. Avevi tanto da dire, e non c’erano parole sufficienti per farlo.
Volevi che capissimo.

Io ho capito che per quanto possa essere considerato fuori dal comune, o eccezionale, o bizzarro, o unico, o strano, nel corpo umano non c’è nulla di anormale. Ovunque c’è poesia, grazia, vita. Ovunque c’è il tocco del cielo. Ovunque il tuo Occhio si posasse, c’era la bellezza. Ed era un tipo di bellezza che nessuno aveva mai voluto vedere. Un amore così pieno per l’essere umano in ogni sua forma non lo aveva mai provato nessuno. Cara Diane, abbiamo perso la tua eredità. Il tuo Occhio proliferava in un’epoca dove le cose potevano essere ancora diverse, piene, belle, nuove. Dove l’amore poteva essere tale e la vita ancora viva. Oggi siamo nell’epoca nera dell’Occhio. Vediamo troppo, e al tempo stesso è tutto nero. Possiamo fotografare tutto, vedere tutto, leggere tutto – ma siamo fermi nella nostra stessa banalità, incanalati nella stessa direzione, fermi nella nostra pelle. Non andiamo oltre. Non riusciamo ad andarci. Non siamo mai stati così ricchi, non abbiamo mai avuto così tanti occhi e mani e parole a disposizione, e non siamo mai stati al tempo stesso così sordi, ciechi e crudeli. John Merrick è tornato ad essere un mostro, un elefante disgraziato e i tuoi soggetti dei freaks.
Non abbiamo imparato niente.

Anche se hai cercato di dirci tutto.

[Daniela Montella]

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una mano, una granata 14\11\2012

in fila agli occhi nudi della piazza
le mani, i denti, la serratura aperta

briciole resistenti al ferro
il davanzale di un binario morto

si riparte al bivio disunito

le domande lunghe dei figli
slegate al nodo dello stesso vento
tendini tesi nello stringere granate

(idee che continuano a volare
come coriandoli cavalcati a pelo
senza maschere a dire che è febbraio)

sono bambini i cieli esasperati
i laghi da nuotare a bocca aperta

[Annamaria Giannini]

diane arbus

.Non era il Tempo della Madre.
Nere parole /
asincrone all’inchiostro
Il volto s/coperto
ed un solo rintocco di tempo

A trattenere in vita la linea spezzata di una donna
e la sua curva materna / c’è il vento
gelido a rincorrere terra
unta di polvere / incenso e silenzio

Solo un drappeggio nella voce mancante
un urlo / un rintocco sanguinante
come a tracimar dolore
d’infante morsa nello strappo avvenuto

__e /nell’angolo dove s’aggira il tuo nome
nelle attardate mattine di un novembre mancato
ancora non v’è voce / o nuda parola
che possa di saliva e sangue lacrimare

[Rosy Iuliucci]

A chi le chiese il perché si fosse dedicata seriamente alla fotografia solo a partire dai suoi 38 anni, ella rispose, con un sarcasmo cristallino: “Perché una donna passa la prima parte della sua vita a cercare un marito, a imparare ad essere una moglie e una madre, e a tentare di svolgere questi ruoli nel modo migliore. Non le resta il tempo di fare altro.”


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