Protoscrittura sarda (3): Massimo Pittau risponde. In 5 punti.

Creato il 29 ottobre 2012 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

Egregio Maestro F.  Pilloni,

1) Mi dispiace di deluderLa:  io non ho mai studiato nelle scuole dei Gesuiti e, se l’avessi fatto,  probabilmente ne avrei menato vanto, data la buona fama che hanno sempre  riscosso quelle scuole.

2) No, “fuori tema” è uscito  Lei e inoltre ha fatto qualche confusione. Siccome di scritture in generale  adoperate dai Nuragici io ho trattato in due ampli capitoli di due mie opere  recenti, Storia dei Sardi Nuragici (Selargius CA 2007, Domus de  Janas edit.) e Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama (Sassari I  ediz. 2008, II ediz. 2009, EDES), Lei non doveva scrivere che il «prof. Pittau  si sta arroccando sulle proprie posizioni, senza dare spazi e sufficiente  attenzione al nuovo che sta venendo fuori specialmente in fatto di scrittura in  Sardegna risalente al Bronzo Finale e al Primo Ferro, in pratica dall’VIII  secolo a.C. a risalire sino al XII e forse anche oltre». Se ciò Lei ha scritto è  evidente che intendeva riferirsi appunto alla cosiddetta “scrittura nuragica” propriamente ed esclusivamente tale.

3) Se invece Lei ha inteso  riferirsi ad altre scritture che sarebbero state adoperate dai Nuragici, ha  commesso un errore di tre o anche più secoli parlando di «Bronzo Finale e Primo  Ferro, in pratica dall’VIII secolo a.C. a risalire sino al XII e forse anche  oltre». I semitisti infatti hanno datato la più antica iscrizione fenicia  trovata in Sardegna (quella di Nora) al secolo VIII a.C., le iscrizioni greche  da me indicate risalgono appena alla fine del secolo VI e quelle latine  addirittura all’epoca imperiale.

4) Siccome nessuno fino ad  ora è riuscito a dimostrare che siano lettere di alfabeti i segni trovati in  rotelle, anelli, placchette e bronzetti nuragici, si faccia avanti Lei a  dimostrarlo e dopo ne parleremo.

5) Comunque La ringrazio  perché, parlando di un’anfora trovata di recente a S’arcu de is Forrosdi Villagrande  Strisaili, mi consente di criticare alla radice il modo di procedere e di  ragionare che fanno in fatto di scrittura archeologi e pure semitisti di chiara  fama. In un recente numero della rivista «Archeologia Viva», Giovanni Garbini ha  scritto testualmente che sono stati rivenuti dalla archeologa Maria Ausilia  Fadda «frammenti di iscrizioni incise su un’anfora “cananea” databile all’VIII  sec. a.C. Insieme con alcuni segni fenici sono stati riportati alla luce i resti  di un’epigrafe in scrittura filistea (però ancora indecifrata)». «L’importanza  eccezionale dell’iscrizione è costituita anche dal contesto archeologico  (XII-VII) sec. a.C., che non soltanto fornisce una datazione precisa, ma offre  il quadro generale di una presenza orientale anche nella Sardegna interna non  sporadica e probabilmente continuativa». «I coloni fenici che s’insediarono  nella costa sud-occidentale erano stati preceduti da altri Fenici che si erano  affiancati ai Filistei e che come questi vivevano nei nuraghi accanto alla  popolazione locale».

Io nutro grande stima di  Giovanni Garbini come semitista, ma in questo caso mi sento di dover dire di lui  ciò che il poeta Orazio aveva detto di Omero: quandoque bonus dormitat Homerus«talvolta dormicchia il bravo Omero». Infatti gli obietto: le anfore per tutta  l’antichità erano il recipiente privilegiato per il trasporto commerciale di  numerose merci, vino, olio, grano, orzo, minerale prezioso, ecc. Pertanto la  presenza di un’anfora “cananea” con una iscrizione filistea – soprattutto perché  unica – non può essere affatto presentata come la prova di una “presenza  continuativa di Filistei nella montagna di Villagrande Strisaili; essa è  solamente il segno di un commercio – neppure frequente – esistente fra la  Palestina e la Sardegna, che aveva come suoi protagonisti i Fenici oppure gli  stessi Sardiani militanti tra i famosi “Popoli del mare” (cfr. M. Pittau, Gli antichi Sardi fra i “Popoli del mare” (Selargius CA 2011, Domus de  Janas edit.). Se il Garbini è arrivato a formulare una simile eccessiva  conclusione dal ritrovamento di una sola anfora e di una iscrizione unica e  indecifrata a S’arcu de is Forros di  Villagrande Strisaili, ciò è sicuramente dipeso dal fatto che egli non ha  visitato quel sito tanto elevato ed isolato sulle falde del Gennargentu; sito  che invece io ho visitato e esaminato con attenzione.

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Nota redazionale:

Giovanni Garbini (Roma, 1931) è un orientalista e semitista italiano.

Ha svolto attività di docente universitario nelle sedi dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli (oggi Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”), nella Scuola Normale di Pisa e infine nell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” (oggi Sapienza Università di Roma) fino al suo pensionamento.

Esperto di lingue e cultura storica e religiosa delle culture semitiche vicino-orientali (Ebrei, Fenici e Arabi della Jahiliyya, specialmente yemeniti), Garbini è stato impegnato anche sotto il profilo filologico nel settore della Filologia biblica.

Socio nazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei dal 1990, Garbini è altresì socio delle più prestigiose istituzioni di ricerca internazionali riguardanti gli studi semitistici. (fonte Wikipedia).

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Diritto di replica al dottor Garbini qualora volesse intervenire.

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Featured image bassorilievo che rappresenta prigionieri filistei, sulla facciata del secondo pilone del tempio funebre di Ramesse III, autore Remih, opera propria, fonte Wikipedia.

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