Nel volume ‘L’Italia agli Italiani. Istruzioni e ostruzioni per il patrimonio culturale’, Daniele Manacorda propone una riflessione sulla gestione dei beni culturali e su come migliorare e rendere più funzionali i rapporti tra pubblico e privato in Italia.
Per Manacorda “Il nostro secolare sistema di tutela richiede una riforma radicale, che ne preservi i meriti storici e rimuova le circostanze che hanno generato i demeriti, all’origine della sua attuale crisi”. Tale nuovo servizio “richiede la partecipazione di più attori e un ribaltamento di rapporti fra Pubblica Amministrazione e cittadinanza”. È proprio questo il punto su cui si snoda la riflessione: una cooperazione tra pubblico e privato che superi la dicotomia tra statalismo e privatizzazione in vista del bene comune.
Manacorda sottolinea il fatto che “nelle democrazie di massa il potere lo esercitano anche le maggioranze escluse dalla percezione del valore dei beni culturali, chiusa in una cerchia di ‘addetti ai lavori’. Siamo paralizzati dai conservatorismi non più giustificabili di una fetta di classe dirigente, anche colta ma elitaria, che ha paura di cimentarsi con le sfide che ci propone l’economia della conoscenza e si oppone, dentro e fuori dell’amministrazione, a tutto ciò che sa di innovazione in questo settore”.
L’autore riprende il testo dell’articolo 9 della Costituzione in cui si afferma la necessità di tutelare e promuovere il valore del patrimonio culturale, ovvero di attuare una sua valorizzazione, “parola demonizzata da chi la traduce in monetizzazione. Stato, regioni, comuni, università, associazionismo culturale, singoli cittadini per il bene comune hanno di fronte i marioli di sempre e la conservazione culturale scontenta del presente e paurosa del futuro”.
Il tema è stato ripreso dal presidente del Fai – Fondo Ambiente Italiano, Andrea Carandini, il quale nell’articolo pubblicato sul Sole 24 ore “Beni pubblici, gestioni private” sottolinea come una politica più “umana” implichi “l’attenzione, fin qui inadeguata, alla promozione e alla gestione del patrimonio culturale”. Anche Carandini fa riferimento al contenuto dell’articolo 9, sostenendo che “lo Stato, che deve conservare il monopolio del controllo e dell’indirizzo della tutela è autorizzato a coinvolgere i privati capaci nella progettualità, promozione e fruizione dell’immane patrimonio, assai mal mantenuto”.
L’attività gestionale, continua il presidente Fai, è “componente essenziale della conservazione, della promozione e dello sviluppo dei territori”, anche se non è mai stata sfruttata in vista di una simile valorizzazione dall’Amministrazione. Il Museo Egizio di Torino è l’esempio di come la parte gestionale possa e debba avere un carattere almeno in parte privatistico.
Citando la lezione di Tocqueville e il pensiero di Bobbio, Carandini osserva che “Le società aperte e plurali non possono prescindere dall’azione dei ‘corpi sociali intermedi’, che grazie alla loro autonomia interconnettono cittadini e Stato nella vita civica”. La funzione pubblica può dunque essere esercitata anche da privati, scardinando il vecchio sistema bipolare di uno Stato “basato su sfere rette da principi diversi e irriducibili, nelle quali la contrapposizione tra pubblico e privato ha prevalso”.
MC