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Pubertà fotografica

Da Daniele Vannini
Essere in macchina da soli è uno di quei preziosi momenti in cui possiamo riflettere senza essere disturbati.
E proprio oggi, mentre ero in giro a sbrigare alcune faccende, ho avuto modo di pensare a quello che, sino ad oggi, è stato il mio percorso di formazione fotografica.
Dopo gli inevitabili primi istanti di romanticismo malinconico sui primi scatti, i primi momenti con la macchina fotografica nuova di pacca tra le mani e cose simili, mi sono messo a ragionare sulle attitudini che ho sviluppato e su cosa comporti crescere fotograficamente.
Ho capito che crescere fotograficamente significa decidere di dedicarsi seriamente ad un ramo della fotografia, tralasciandone inevitabilmente tutti gli altri.
Significa operare una scelta seria, il che ad un primo approccio può sembrare una sorta di chiusura mentale, oppure un arrivismo, una carenza di curiosità o di impegno
Io stesso l'ho pensato, inorridendo.
In realtà non è così, nonostante una cosa sia vera: la scelta di un determinato campo di applicazione fotografica porta ad una crescita culturale inevitabilmente parallela.
Per fare un esempio, se decidiamo di diventare fotoreporter sarà difficile ci interesserà essere realmente informati sui campi della moda, sugli sviluppi delle tendenze o sulle modelle del momento.
Saremo piuttosto interessati a problemi di attualità, di cronaca, di politica e di sociale, e sarà più probabile trovarci in mezzo al fango di un campo nomadi che ai bordi di una passerella luccicante.
C'é quindi una crescita culturale, e tale crescita e voglia di informarsi è molto stimolata da ciò che amiamo fotografare.
E fin qui tutto bene, volendo è una considerazione abbastanza scontata.
Quello che è un pò meno scontato, ma molto più fastidioso, è rendersi conto che certe cose ci venivano meglio prima di prendere consapevolezza. In altri termini, prima di diventare consapevoli, certe fotografie ci venivano meglio di oggi che siamo più informati di ciò che vogliamo, e quindi più maturi e più esperti.
La cosa disorienta, manco fosse una fase ormonale.
Parrebbe un controsenso; una maturazione che fa disimparare?
Penso sia meglio metterla giù in modo diverso: se ti focalizzi con energia su un punto A, sarà molto difficile, se non impossibile, fare la stessa cosa con un punto B. Pena, un lavoro mediocre.
Quando si inizia a fotografare si scatta di tutto e a tutto.
Poi, pian piano, si vede prevalere un soggetto, e quel soggetto diventa la nostra "dolce ossessione", il nostro punto A.
Ci dedichiamo ad esso. Vogliamo diventare sempre più capaci nell'affare le caratteristiche di quel determinato oggetto del desiderio, ed in effetti ci premia, perchè vediamo la nostra abilità crescere verso quel fronte.
Tutto ciò richiede molto tempo, e soprattutto molte energie.
Il nostro punto A, che ci chiede tutto e non vuole essere diviso con nulla.
Per questo motivo questa estate, di fronte a splendidi paesaggi marittimi, tramonti, e luci notturne, mi sono limitato a scattare una sola fotografia, o neanche quella. Quello era il punto B; il mio punto A si trovava in giro a passeggio tra le viuzze strette, nei pressi dei porti, nei bar, nei ristoranti o nei centri storici.Era la gente del posto, quel soggetto che, nel mio caso, ti chiede tutto e non vuole tu lo divida con nessuno.
Ti ci dedichi, e sei contento di farlo.
Poco importa se non porterai a casa il ricordo di quel paesaggio mozzafiato.
Sei bello sereno e soddisfatto.
Ripeto, detta così sembra una chiusura mentale, ma è solo il naturale ed inevitabile processo di crescita e maturazione fotografica.
A parer mio se ciò non accadesse sarebbe molto grave.
Certo, non significa uno deve provare ribrezzo nel fotografare qualcosa che si discosti dalla sua materia; sarebbe stupido anzi, sarebbe idiota e totalmente privo di senso.
Tuttavia, rimane il fatto non si può fotografare tutto allo stesso modo, se non in modo fondamentalmente banale.
Sicuramente un buon fotografo sarà in grado di rendere bene una modella seminuda anche se si occupa di reportage, ma lo farà per portare a casa il grano e mangiare la minestra.
Non trasmetterà mai la stessa forza e lo stesso sentimento che potremo vedere su un suo lavoro di ricerca sociale o giornalistica, per il semplice fatto che, fondamentalmente, la materia non gli interessa.
E' giusto sia così. Bisogna operare una scelta, sapere i perchè di quella decisione, e muoversi di conseguenza.
Bisogna abbandonare l'infanzia dei primi click a chiappa dove tutto sembra valere la pena di essere ripreso, per passare alla fase adolescenziale dei primi progetti più seri e selettivi, e via via continuare a crescere.
Seguire le proprie attitudini è fondamentale per riuscire bene, ma soprattutto lo è per sentirsi soddisfatti.
Altrimenti fare il fotografo, non avrebbe alcun senso.

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