Magazine Diario personale

Punto. a capo

Da Miwako
Oggi mi sono persa. Mi succedeva anche in Finlandia, anche dopo sei mesi; figuriamoci in un posto dove sono arrivata da tre giorni.Ad essere onesta, non posso nemmeno dire di essermi impegnata affinchè ciò non avvenisse. Uscita dalla libreria ho iniziato a camminare, con la sete negli occhi e la curiosità nei piedi. E questo è tutto. Nessuna cartina, nessuna attenzione alla segnaletica, nessun phone abbastanza smart da avere google maps o qualche altra diavoleria tecnologica. Quando ho sentito il bisogno di tornare verso "casa" ho fatto come facevano le persone un tempo e come ho sempre fatto; ho chiesto a qualcuno. Ma in quel momento, subito dopo aver deciso di tornare verso Saint Gilles, prima di domandare a qualcuno, mentre ci provavo da sola ad orientarmi ( non si sa bene con quali strumenti visto che non conoscevo la zona, ero senza cartina e non avevo idea nemmeno di quanto potessi essere lontana da luoghi quanto meno già visti di sfuggita), proprio lì, ho visto casa mia, al 113 di Rue Braemt. Due enormi finestre in rilievo, una sopra l'altra (più precisamente bow window, italianizzate bovindo; terribile inglesismo maccheronico che mi rifiuto di usare), intagliate nel legno e incastrate in una costruzione di mattoni chiari, dipinte di un colore che doveva essere oro, tempo addietro. Ecco; questa è La Casa, la casa in cui non abiterò mai, ma che se mi chiedessero "Come te la immagini la tua casa a Bruxelles?", io risponderei "Così, esattamente così".Mia cugina (che vive qui da 12 anni e che mi sta ospitando con infinita magnanimità, pertanto Santa Subito), mi ha dato ragguagli sulla zona, facendo presente che non è esattamente l'area più tranquilla di Bruxelles; intendiamoci, nessuna sparatoria o altra roba da mafia sudamericana e/o ghetto camorrista, semplicemente inizia ad essere una zona dalla dubbia identità, poco servita dai mezzi e vagamente arabizzata. Si, dubito ci vivrò, al 113 di Rue Braemt, anche se, vi giuro, io e quella casa, per un attimo, abbiamo parlato la stessa lingua.
Fintanto che scrocco il letto a mia cugina, cerco di fare pratica linguistica, approfittando di suo marito, il quale è dotato di un fantastico accento parigino a me totalmente incomprensibile; è frustrante, ma da un lato devo dire che rispolverare il mio francese acciaccato si sta rivelando meno complicato del previsto. Certo, ha un po' di sciatica, le articolazioni scricchiolano e parte dell'ossatura è completamente da costruire, però direi che me la sto cavando egregiamente per essere qui da così poco. Per ringraziarli, oltre a cercare di ingombrare meno di quanto la mia altezza e i miei bagagli imporrebbero, stendo, cucino e lavo i piatti. La cugina S. mi deride quando trova le stoviglie ad asciugare sul lavello, visto che possiedono una lavastoviglie funzionante e sempre disponibile, giustamente, si chiede come mai io lavi a mano. E' che non ce l'ho, non ci sono abituata, sono tre tazze in tutto e che, le metto in lavastoviglie? No no, il modello "casalinga anni '50" ha ragion d'essere in certi casi!
E le strade, le case, i piatti da lavare, ma perché parlo di queste cose? Non che siano totalmente prive di significato, ma ciò che mi cammina per la testa e sul cuore, ha un peso decisamente molto meno materiale e, paradossalmente, più concreto delle quattro stronzate che ho scritto finora.Eppure ...
Fa freddo qui, freddo come se l'estate non esistesse; piove e tira vento, vento del nord. Però il sole, quando c'è, tramonta alle undici; e stasera, che non c'era nemmeno una nuvola, ho visto le stelle. Come fosse la prima volta.


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