Può una macchina pensare come un essere umano?

Creato il 05 febbraio 2015 da Thefreak @TheFreak_ITA

“A volte non possiamo fare ciò che ci fa sentire appagati, dobbiamo fare ciò che è logico”.

Candidato a otto premi Oscar, tra cui miglior film, “The Imitation game”, capolavoro del regista norvegese Morten Tyldum, racconta la storia di Alan Turing, un matematico geniale e appassionato di crittografia che durante la Seconda guerra mondiale venne reclutato per un programma segreto messo in atto dal governo Britannico: quello di decifrare il codice Enigma, ideato dai nazisti per comunicare segretamente le loro operazioni militari. La vicenda è narrata attraverso dei flashback dello stesso scienziato mentre si racconta a un investigatore che indaga su una segnalazione di furto con scasso.

Il gioco in questione non riguarda solo il decifrare i complessi messaggi: riguarda anche la beffa nella quale si cala Alan cercando di mascherare la sua vera identità di omosessuale, un tratto che a quei tempi gli sarebbe costato la vita. Benedict Cumberbatch, per altro candidato all’Oscar come migliore attore, interpreta in maniera impeccabile una specie di sociopatico altezzoso che si rifiuta di collaborare con il team di cervelloni incaricati di risolvere l’Enigma e del quale fanno parte linguisti, campioni di scacchi e agenti dei servizi segreti. Rifiuto che va avanti imperterrito fin quando sulla sua strada non compare Joan Clarke, nota ai più come Keira Knightly, una venticinquenne nubile appassionata di logica, matematica e cruciverba senza il desiderio di prendersi cura dei genitori e della casa come buon costume vorrebbe, ma piuttosto con quello di fare un lavoro da uomini che la possa appagare veramente. Grazie al suo aiuto il giovane Alan riesce lentamente a superare l’incapacità a decifrare i comportamenti altrui e a tradurre i propri in comunicazione umana. Secondo Alan “le persone non dicono mai quello che vogliono dire, dicono sempre altro. E poi si aspettano che tu le capisca”. Alan per l’appunto non le comprende. Sembra volersi intendere solo con Christopher, la macchina da lui progettata per decifrare Enigma.
Ma si sa, in fondo il lavoro di squadra è sempre il lavoro di squadra, e tutti, perfino lo schivo e silenzioso Alan, lo imparano a proprie spese.

Poiché Christopher sembra non riuscire a risolvere i messaggi cifrati dei tedeschi, il governo minaccia Turing di licenziarlo e di distruggere la sua costosissima creatura, accusandolo perfino di essere una spia sovietica. Anche il suo rapporto con Joan diventa burrascoso quando cerca di allontanarla da un ambiente così pericoloso per una donna; deve però vedersela con la determinazione di una ragazza che non ha intenzione di perdere un lavoro così importante.
Poi una sera in un bar arriva il colpo di genio: restringere il campo di parole nel quale cercare significati.

A questo punto verrebbe da dire: “e il resto è storia”, ma così non è. Per il semplice fatto che di suddetta vicenda non si è saputo nulla per ben 50 anni poiché il governo Britannico ha mantenuto il segreto di Stato. Solo nel 2013 la regina Elisabetta ha peraltro concesso la grazia postuma ad Alan Turing, e il mondo ha finalmente conosciuto a chi deve un risparmio di sangue, sofferenza e una riduzione della guerra che gli storici affermano sia di almeno due anni.

Purtroppo questo dolore non è stato risparmiato allo stesso Alan, vittima di un sistema bigotto e disumano. L’Inghilterra che ci viene presentata è un paese contraddittorio, pronto a dimenticare quanto deve a Turing pur di preservare il suo presunto buoncostume.

Turing è considerato oggi uno dei padri di quello che noi chiamiamo…computer! Un pioniere della moderna informatica la cui vicenda andrebbe inserita nei libri di storia che facciamo fatica a digerire per colpa delle date, degli schieramenti e dei nomi delle continue battaglie; perché piuttosto non farci spendere una lezione sulle vite private di coloro i quali hanno veramente lasciato il segno?

Questo film mi ha colpito per tre motivi, e non solo per la sceneggiatura (candidata anch’essa all’Oscar ovviamente).
Il primo è la velata descrizione dell’omosessualità di Turing, narrata con dei delicatissimi flashback della sua adolescenza al college; il secondo è l’altrettanto discreta esaltazione del lavoro di squadra, celata tra segreti, invidie e altezzosità; il terzo, il più bello, è il ricorrere di una frase: “Sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno può immaginare”. Non so voi, ma io continuo a ripeterla tra me e me.

A cura di Chiara De Dominicis.


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