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Pūrva Mīmāṃsā

Creato il 05 febbraio 2010 da Orienta_menti

“Pūrva Mīmāṃsā” > “prima indagine, riflessione”

Testo: Pūrva Mīmāṃsā sūtra di Jaimini (c.a. II sec. a.C.)

Il suo oggetto è l’esegesi dei Veda, in particolare delle prescrizioni rituali contenute nella letteratura vedica intese nell’accezione più ampia, non tanto per estrarne le significazioni riposte quanto per determinarne i principi che portano alla loro corretta esecuzione. L’interpretazione del contenuto simbolico e noetico rientra anch’essa nel campo d’azione della Mīmāṃsā, ma tenderà a specializzarsi in una scuola-disciplina distinta, quella che darà luogo al darśana chiamato Vedānta, altrimenti noto come Uttarā Mīmāṃsā (Mīmāṃsā ulteriore, recente), contrapposto alla Mīmāṃsā propriamente detta, denominata Pūrva Mīmāṃsā (Mīmāṃsā precedente, antica).

La Mīmāṃsā si occupa in primo luogo di teoria e prassi del sacrificio, il quale genera e sostiene il dharma universale e assicura al soggetto sacrificante la felicità nell’aldilà ed infine la totale liberazione dal ciclo delle rinascite.

Fonte unica per la conoscenza del dharma è la rivelazione vedica. Per affermarne la validità la  Mīmāṃsā (in aperta critica a ciò che sostengono le scuole del Nyāya, quelle buddiste e jaina, riguardo all’autorevolezza del Veda in quanto promulgato dal Signore stesso, oppure in quanto Buddha e Mahāvīra sono onniscienti) sostengono l’assioma secondo cui i veda non hanno un autore umano, né divino, essi sono senza principio né fine (“eterni” – nitya).

Ogni conoscenza dunque, anche quella dei Veda, è da considerarsi valida di per se stessa.

Ma se i Veda, che sono dei testi, sono da considerarsi fonte di conoscenza, vuol dire assumere che il linguaggio abbia il potere di veicolare la verità; ovvero – per togliere ogni sospetto di una sua natura abbandonata all’arbitrio di una umana o divina convenzione – che il rapporto tra ogni parola e il suo significato sia eterno e immutabile.

Se ogni rito deve portare immancabilmente al suo frutto, il mondo in generale deve essere stabilmente inscritto in confini precisi, tali da garantire il suo corretto e prevedibile funzionamento; ancora, l’anima, se deve godere dei frutti del rito che maturano anche a grande distanza temporale dalla sua esecuzione, deve essere immortale.

Secondo Jaimi, la realizzazione totale coincide con il conseguimento post mortem di condizioni di esistenza a livello divino: l’ottenimento o meno delle condizioni celesti dipende dall’esito dei riti prescritti e dalla generale condotta di vita conforme ai doveri da osservare (Karma Mīmāṃsā e Dharma Mīmāṃsā, altre due denominazioni della Pūrva Mīmāṃsā, riferite rispettivamente ai riti e ai doveri)


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