Il primo grado di giudizio sulle Pussy Riot si è concluso venerdì scorso con la condanna (piuttosto mite, rispetto a quanto si temeva) a due anni di carcere per atti di teppismo e istigazione all’odio religioso, ma le polemiche non si placano ancora. A fare eco alle proteste internazionali seguite alla sentenza, arriva la protesta ufficiale di Mosca, che attraverso il ministro degli Esteri Lavrov ha attaccato, indirettamente, le critiche giunte da Usa e Ue riguardo alla sproporzione tra le accuse mosse al gruppo e la condanna inflitta: “Si può essere d’accordo con il verdetto o contestarlo, ma inaccettabile interferire con le attività della Corte”, sono state le parole del capo della diplomazia russa. Rispondendo alle accuse secondo cui il giudizio sulle Pussy Riot sarebbe stato influenzato dal Cremlino, Lavrov ha ribadito il fatto che Putin, prima della sentenza, aveva chiesto ai giudici di non essere troppo duri contro la punk-band.
“E una simile posizione è stata presa anche dalla Chiesa Ortodossa”, ha concluso Lavrov, dimenticando però di aggiungere che la richiesta di clemenza da parte del Patriarcato di Mosca è arrivata solo la sera del 17 agosto scorso, ovvero dopo la sentenza di condanna delle tre ragazze.
Gli avvocati delle Pussy Riot intanto hanno presentato la richiesta d’appello, poichè, affermano, la condanna è stata emessa su capi di accusa riguardanti questioni religiose, mentre, sottolineano i legali, quella all’interno della Cattedrale del Cristo Salvatore è stata solo una protesta contro il sostegno dato dalla Chiesa Ortodossa alla candidatura presidenziale di Vladimir Putin.