Putin e Kissinger in una foto del 2001
Un ex colonnello del Kgb che prende lezioni di politica da un ex Segretario di Stato americano che in nome dell’anticomunismo non si è fatto mai scrupoli di sostenere finanziariamente feroci dittature africane, asiatiche e sudamericane: nel dopo-Guerra Fredda può accadere anche che l’uomo più potente di Russia sia un amico di vecchia data dell’eminenza grigia della politica estera Usa. Vladimir Putin ed Henry Kissinger, stando a quanto riferisce il portavoce del premier russo, si conoscono da vent’anni ed hanno tenuto in questo lungo periodo almeno una decina di incontri informali su temi riguardanti i rapporti Usa-Russia, l’ultimo venerdì scorso, quando l’ideologo della realpolitik americana degli anni Sessanta-Settanta ha avuto un colloquio a porte chiuse con il prossimo presidente russo.
Non ci sono comunicati ufficiali su quale sia stata l’agenda dell’incontro, ma secondo il New York Times i due si sarebbero confrontati sulla politica (interna ed estera) russa, con Putin molto interessato ai consigli e alle vedute di Kissinger.
L’ex Segretario di Stato è arrivato in Russia nel pieno di una campagna per le Presidenziali che porta ancora in sè le polemiche per le politiche di dicembre: l’ultima miccia l’ha accesa pochi giorni fa il neo-ambasciatore americano McFaul, con il suo incontro con i membri dei movimenti d’opposizione protagonisti delle oceaniche manifestazioni di dicembre, cosa che ha spinto alle stelle la tensione con il Cremlino, già ai massimi dopo le accuse di ingerenze americane negli affari interni russi, per via dei rapporti tra la Ong Golos e l’Ambasciata Usa di Mosca. Il barometro delle relazioni Est-Ovest tende al brutto: continuano a essere tanti, troppi, i temi globali (dal Medioriente alla crisi finanziaria mondiale) su cui Mosca e Washington si trovano su posizioni contrapposte.
Per questo, è da presumere che quella di Kissinger non sia stata certo una visita di cortesia: l’ex capo della diplomazia americana, dopo aver lasciato la politica attiva, ha continuato a svolgere per anni il ruolo di mediatore tra la gli Stati Uniti e il resto del globo. Con i venti di guerra che soffiano su Siria e Iran, e la crisi finanziaria che rischia di sconvolgere l’Occidente, oggi la comunità mondiale non può permettersi di avere Russia e Usa ai ferri corti: pur non essendo trapelate molte notizie dal colloquio avuto con Putin, è evidente che Kissinger sia volato a Mosca per riportare la temperatura tra il Cremlino e la Casa Bianca a livelli accettabili.
Il Kissinger-pensiero che potrebbe riassumersi da questo incontro è che agli Usa serve una Russia politicamente ed economicamente stabile, ed è giocoforza che stabilità faccia rima con continuità: quindi, in un momento di gravi tensioni internazionali, è meglio tenersi un Putin che già si conosce che ritrovarsi un’incognita al Cremlino. Ma a spingere l’89enne ideologo della realpolitik americana ad intraprendere questo tour moscovita potrebbe esserci altro, ovvero le prove generali di un svolta da attuare in politica estera qualora Obama a novembre dovesse essere rieletto presidente. Una svolta che inizierebbe con il siluramento della figura più forte dell’Amministrazione Obama: il Segretario di Stato Hillary Clinton.
E’ abbastanza diffusa la prassi che vede la nomina di un nuovo Segretario di Stato in occasione del secondo mandato del Presidente Usa, e così è stato per gli ultimi tre ad aver governato per due mandati: Bush jr. con la staffetta Colin Powell-Condoleezza Rice, Bill Clinton con Warren Christopher e Madaleine Allbright, Ronald Reagan con Alexander Haig e George Shultz. Se verrà rieletto, Obama farà lo stesso: la nomina della Clinton fu dettata nel 2008 da esigenze elettorali, e tutto (incluso il vertice Kissinger-Putin) lascia pensare che il Presidente vorrà avvalersi nel prossimo quadriennio di una figura politicamente più vicina a lui.
Un rapporto non facile quello tra la Clinton e Obama, nato male dalla dura campagna per le primarie e finito peggio con le evidenti divergenze sulle elezioni politiche russe del 4 dicembre scorso: a differenza del Presidente, rimasto su posizioni alquanto marginali, la Clinton ha usato toni da “falco”. Con il suo colloquio all’insegna della distensione con il premier russo, che di fatto ne ha legittimato la prossima elezione a presidente, Kissinger è sembrato sconfessare la Clinton e la sua linea dura anti-Putin: è probabile che gli spin-doctors democratici abbiano ormai acquisito consapevolezza che Vladimir Putin sarà per i prossimi sei anni la controparte con cui Washington dovrà relazionarsi, e che per questo motivo abbiano optato per il disgelo con il Cremlino.
Certo, in un anno delicato come quello che precede le presidenziali Usa era indispensabile utilizzare come ambasciatore di pace una figura non ricollegabile all’amministrazione democratica, per non offrire il fianco ai repubblicani a proposito della presunta debolezza di Obama in politica estera: ed Henry Kissinger, per la sua autorevolezza riconosciuta a livello internazionale, era la persona più adatta per una riapertura del dialogo. E’ dunque probabile che la ostpolitik di un eventuale secondo mandato di Barack Obama sarà sempre più all’insegna di un “reset” nei rapporti con la Russia di Putin. Ancora più probabile è che a tenere le fila di questa ostpolitik obamiana sarà un nuovo Segretario di Stato, più vicino al Presidente di quanto non sia la Clinton.