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Pvc-1

Creato il 23 settembre 2010 da Eraserhead
PVC-1Siamo abituati ormai a vedere il (e nel) cinema la mediazione con la realtà. Ovvero: ci sediamo ad un tavolino di fronte a lui, e se vuole raccontare cose realistiche ci deve convincere di questo. Tanto più esso si avvicina al concetto che abbiamo di reale, tanto più ne veniamo coinvolti, almeno in linea teorica. Si tratta in ogni caso di un’illusione a cui lo spettatore si assoggetta consapevolmente poiché anche nell’opera più realistica potrà rintracciare una tecnica, un metodo, un qualcosa che segni in ogni caso il confine fra verità e fiction.
PVC-1PVC-1 no.
PVC-1 è un film eccezionale perché assottiglia come nessun altro aveva mai fatto la linea di demarcazione fra ciò che appare reale e ciò che non lo è. Merito del piano sequenza (non ricordo dove ho letto che è la tecnica registica più vicina alla vita. Vero. Ma qui lo è molto di più alla morte) che costituisce tutta la pellicola: dall’inizio alla fine. Come Sokurov e se volete anche Hitchcock, Stathoulopoulos pone la propria cinepresa come sguardo unilaterale, esclusiva fonte di conoscenza possibile. Non esiste il montaggio o altri artifizi, è come essere realmente lì, dentro la fattoria colombiana in cui la percezione della sofferenza di quella mamma-bomba è a prova di tatto (si sente un fastidio intorno al collo durante la proiezione), di vista (non essendoci campi/controcampi tutto si allontana o si avvicina a seconda della mdp), di udito (i bip-bip dell’ ordigno strozzano il fiato), di gusto (il metallo della pistola puntata nella bocca del figlioletto), di olfatto (non ho la più pallida idea di che odore abbia una bomba ma quando l’artificiere si è messo ad annusare il collare io HO sentito).
Tale cinema, che credo mai come in questo caso vada classificato sotto la categoria di esperienza e non di visione, riesce ad empatizzare così tanto perché utilizza le medesime coordinate del nostro vivere. Noi vediamo, sentiamo, avvertiamo, percepiamo, tutto quello che se fossimo invischiati nella vicenda sentiremmo, avvertiremmo, percepiremmo. Si presenta e prosegue allora come un cinema che riduce la distanza fra l’osservatore e l’osservato, poggiando le fondamenta su un substrato fatto di angoscia che tende il filo del film non in una sola scena ma per tutta la sua durata.
Dei delinquenti hanno messo un collare esplosivo addosso ad una donna e noi siamo lì con lei e la sua famiglia. Punto.
Dato lo sforzo tecnico richiesto non solo per la regia ma anche per gli attori, era pressoché inevitabile inciampare in qualche buca. Dopo il fulminante inizio opportunamente privo di qualsiasi spiegazionismo, la tensione resta decisamente palpabile nei primi tre quarti d’ora per poi diminuire durante il tentativo di disinserire l’ordigno. Sebbene il taglio con cui viene raccontato il disinnescamento rimanga estremamente godibile con quello sguardo (non mi viene da chiamarlo in altro modo) che fa vivere tutta l’angoscia del set, il pathos si disperde negli allungamenti da brodo come il taglio del dito da parte dell’artificiere e lo svenimento improvviso della madre.
Anche il finale che vede per la prima e ultima volta il tocco del regista con un leggero sbiadimento della pellicola si poteva intuire. Detto ciò è strepitosa l’ultima scena accompagnata da un fischio sordo (ci siamo dentro fino alle… orecchie) in cui l’occhio (il nostro) si avvicina alla figlioletta inginocchiata che disperandosi stringe in mano un salvadanaio.
Non è perfetto PVC-1, e che importa in fondo. Come suggerisce la tagline viene mostrata la vita in un solo colpo. Un colpo che da un lato picchia forte allo stomaco e dall’altro non fa smettere di applaudire.
Questo cesso di blog si arricchisce di un’altra perla di cui non è degno, una delle più brillanti ma anche una delle più splendidamente sporche.
Un grazie infinito ai ragazzi di Asian World.PVC-1

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