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Qatar 2022, già più di 1000 morti: il silenzio sul Mondiale degli schiavi

Creato il 16 settembre 2015 da Redatagli
Qatar 2022, già più di 1000 morti: il silenzio sul Mondiale degli schiavi

L'Occidente è quella parte di mondo che formalmente ha abolito la schiavitù; poi, se per caso essa ricompare per soddisfare le esigenze di qualche suo rito, pazienza.
È una sintesi efficace del carrozzone universalmente noto come "Organizzazione dei mondiali di calcio di Qatar 2022", dove Amnesty International stima l'impiego di risorse umane in 2,5 milioni di persone ridotte in stato di sostanziale schiavitù.

Inquadriamo la situazione: il 2 dicembre 2010, sorprendendo tutti, la FIFA decide di assegnare il Mondiale di calcio alla piccola Nazione sul Golfo Persico, un posto perfetto per estrarre idrocarburi fossili e assurdo per giocare a pallone, specialmente nella stagione in cui da sempre si è disputata la rassegna iridata.
Le temperature medie dei mesi estivi toccano i 50° percepiti, e per giocare d'inverno si renderà necessario stravolgere il calendario di tutti i campionati europei.
Ma questo non ferma i mammasantissima della FIFA, e nonostante i primi sospetti di una clamorosa corruzione si sollevino sin dalle prime ore di quel giorno del 2010 (verranno confermati), il tutto prosegue.

Il Qatar, piccolo Paese con superficie inferiore al Montenegro ed alle desideratissime (...) Isole Falkland, si trova a dover costruire ex novo nove stadi con capienza presentabile e a doverne ammodernare altri due, senza ovviamente contare le opere pertinenziali o comunque infrastrutturali: un compito che una popolazione di 1.760.000 qatarioti (malcontati) non riesce ad assolvere.
Ma non c'è problema: come ogni merce, il lavoro si può importare, ed è così che incomincia una vera e propria tratta di operai più o meno qualificati.

Provengono da India, Pakistan, Bangladesh e Nepal ed attualmente sono 1,5 milioni; si prevede poi che in prossimità del 2022 la cifra arriverà ai due milioni e mezzo prima accennati: la legge qatariota (kafala) prevede però condizioni feudali, in virtù delle quali il datore di lavoro entra in possesso di tutti i documenti del suo dipendente.
Firmando il contratto, difatti, non si instaura un rapporto "alla occidentale" in cui entrano in gioco datore-prestatore-mansione-retribuzione, ma ci si consegna in toto al padrone: il passaporto viene preso in consegna e il dipendente non può lasciare il Qatar senza autorizzazione. Si diventa prigionieri.

I promessi "ispettori del lavoro" del governo, incaricati di vigilare sulla più basilare tutela delle sicurezze minime sul lavoro, non si sono mai visti; in compenso, i giornalisti stranieri che tentano di indagare in loco non vengono accolti da tappeti di rose rosse e coppe di ambrosia - in altre parole, qualcuno è stato arrestato, ad esempio una troupe della BBC.
Il Guardian parla di una media di 2,5 morti bianche al giorno, sia per incidenti sul lavoro sia - più banalmente - perché qualche organismo non sopporta ore e ore di lavoro pesante immerso nell'estate desertica, con un counting che a seconda delle varie agenzie per i diritti umani è incerto tra le 1300 e le 1500 morti già avvenute.
I turni di lavoro ovviamente superano le 8 ore, delle temperature abbiamo parlato, gli alloggiamenti corrispondono a baracche quando non alla stessa intelaiatura degli stadi, sotto cui decine di persone bivaccano al calar del sole.
Niente servizi igienici, acqua appena a sufficienza e comunque non corrente.

Inutile dire che di sindacati o class action non se ne parla, ed in un Paese già di suo non brillantissimo sulla tutela dei diritti umani uno sciopero non pare la mossa più conveniente.
L'occidente civile, ignaro o dolosamente distratto, non muove un dito, e come tutte le volte in cui ci si confronta con la potenza economica araba gira la testa dall'altra parte.
Anzi, compiace e minimizza: i morti, del resto, non sono suoi.

Umberto Mangiardi
@UMangiardi

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