Nella composita successione di eventi regionali in Medio Oriente, due Paesi si contendono il ruolo di realtà pilota nell’area. E dalla corsa per simili aspirazioni geopolitiche saltano fuori strategie interventiste il cui obiettivo è riuscire a perpetuarsi.
Le relazioni tra le due monarchie, Qatar e Arabia Saudita, non sono mai state distese. La prima, con un territorio molto ridotto di appena 11mila km2, detiene il secondo esercito mediorientale più piccolo, dipende dalla difesa statunitense ed è molto presente sulla scena regionale rivestendo il ruolo di pacificatore delle singole questioni nazionali. L’altra, oltre 2 milioni di km2 di territorio, è la monarchia fondata da Mohammad bin Sa’ud secondo il rigore wahhabita di Muhammad Ibn ‘Abdul Wahhab e, sin dall’indipendenza del Qatar con il ritiro degli inglesi nel 1971, ha esercitato considerevole influenza sul piccolo Stato del Golfo.
Nel periodo in cui – erano gli anni ’90 – il governo qatariota di Hamad bin Khalifa Al Thani avviò un percorso politico nazionale in direzione di una maggiore autonomia, si registrò un primo segno di cedimento dell’influenza saudita. Andando per ordine, in concomitanza con l’aggressione del Kuwait, quando l’Iraq minacciò di invadere l’Arabia Saudita, questa fu costretta a chiedere il coinvolgimento militare statunitense. Fu allora che avvenne una frattura decisiva, in virtù della quale oggi i due Paesi, nonostante l’abissale gap di potenziale che detengono, sono giunti a competere per lo stesso ruolo. Quell’episodio fu risolutivo perché il Qatar trovasse una propria strada, avendo tale circostanza dimostrato che il regno saudita non sarebbe stato in grado di proteggere l’emirato.
Ad acuire la distanza tra i due Paesi contribuirono altri fattori; il presunto complotto saudita per sferrare un contro-colpo di Stato in Qatar dopo il 1995 e, dall’anno successivo, la cattiva propaganda fatta a Riyadh dall’emittente qatariota Al-Jazeera. Con l’intervento militare statunitense della I Guerra del Golfo, il Qatar uscì ufficialmente dallo schermo saudita e, nel 1991, con un accordo militare concesse spazio agli USA sul proprio suolo. Quella stessa area oggi ospita il quartier generale del Comando Centrale statunitense. Nella sfida per la conquista del diritto di parola in merito agli affari regionali, Arabia Saudita e Qatar alternano questioni legate alle risorse, al loro monopolio e alla loro gestione. Si cita ad esempio la reazione saudita, ancora negli anni ‘90, all’intesa raggiunta dal Qatar con altri Paesi del Golfo (Emirati Arabi Uniti, ‘Oman e Kuwait) per esportare il gas attraverso il territorio saudita. Nel 2005, quando l’Arabia Saudita scoprirà sul proprio suolo altre risorse, l’episodio è destinato a ripetersi.
Ad allargare il divario, poi, sorge un’altra questione; le rispettive e diseguali relazioni che intrattengono con il vicino Iran. Sono positive quelle con il Qatar (basti pensare che nel 2006 questi fu il solo Paese a votare nel Consiglio di Sicurezza ONU contro la Risoluzione UNSC n° 1696 che poneva sotto stretta osservanza la produzione nucleare iraniana). Non vale altrettanto per i rapporti tra Iran e Arabia Saudita e le motivazioni sono molteplici; si plasmano sulle scelte degli Usa, riguardano la rivalità per la gestione delle risorse e del territorio. Altre ragioni, invece, sono di natura strutturale; monarchia conservatrice l’una, Repubblica Islamica l’altra, piena indipendenza in quanto a difesa l’Iran, totale dipendenza dagli Usa nel caso dell’Arabia Saudita. Siano esse di cooperazione, oppure difficili, le relazioni con l’Iran chiameranno direttamente in causa Qatar e Arabia Saudita nell’eventualità di un attacco occidentale contro la Repubblica Islamica.
Parliamo dell’attività di Qatar e Arabia Saudita nella regione. Le rivolte sorte in ragione della generale spaccatura tra Stato e popolo nei Paesi arabi si evolvono seguendo gli spostamenti di due blocchi differenti che potremmo qui definire l’uno saudita e l’altro iraniano, e intorno ai quali ruotano come satelliti i regimi arabi che tra di essi si sfidano. Nella stessa sequenza altri attori regionali d’ispirazione islamista, forti di un ampio consenso popolare ricorrono al sostegno estero e si oppongono alle monarchie conservatrici le quali, per la propria salvezza, ostentano una presunta unità araba rispolverata. Tra i due Paesi il Qatar, nonostante la cordialità delle relazioni, rischia maggiormente, perdendo il ruolo di sincero e disinteressato broker nella regione, troppo spesso, forse, sopravvalutato. Mancando di una visione regionale e puntando maggiormente su obiettivi geopolitici, infatti, il Qatar, che oggi aspira a strappare all’Arabia Saudita il titolo di rappresentante esclusivo del Wahhabismo, provocando l’ira di Riyadh, potrebbe essere messo di fronte a scelte difficili. Questo, pur non potendo concorrere con la monarchia wahhabita in quanto ad estensione di territorio di sovranità, né per il Pil (170 miliardi di dollari per il Qatar, circa 600 miliardi per l’Arabia Saudita) e tanto meno per il giro d’affari con gli Stati Uniti (4 miliardi di dollari per il Qatar, 48 miliardi per la monarchia saudita).
L’attivismo politico regionale di entrambi i Paesi oggi non può essere letto in chiave di mero paternalismo, né può giustificarsi esclusivamente con il monopolio delle risorse, sebbene quest’ultimo occupi uno spazio di rilievo. Si prendano ad esempio gli interessi di Qatar e Arabia Saudita nella battaglia che stanno conducendo di concerto – o che stanno controllando a distanza – in Siria per rovesciare il regime di Bashar al-Asad. Le due monarchie, insieme alla Turchia impegnata a ospitare la base di smistamento di armi per i ribelli, garantiscono equipaggiamento militare, denaro e forum politici per formare l’opposizione ad al-Asad. Sarebbe incoraggiante sapere che qualcuno sia impegnato fino a tal punto nella lotta per la giustizia in Siria, eppure, pensarlo sarebbe ancora un’ingenuità. Il ruolo svolto da Arabia Saudita, e sorprendentemente dal Qatar, resta il tentativo di due monarchie conservatrici di arrestare il rischio di un cambiamento nel sistema regionale arabo.
Pur non negando che alcune derive sul campo assumano effettivamente l’aspetto di conflitti settari, quanto è accaduto e accade con la loro regia, dall’Iraq alla Libia, dallo Yemen al Bahrain e alla Siria, viene comodamente parafrasato e presentato in termini di lotte intestine. D’altra parte, non bisogna nemmeno sottovalutare la rivalità tra i blocchi sunnita e sciita, ma si pensi alla volontà delle due monarchie di rovesciare il regime dell’alawita al-Asad, tradizionalmente alleato dell’Iran sciita e all’apprensione con la quale Qatar e Arabia Saudita monitorano gli eventi in Bahrain nell’ambito del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Un esempio plateale è dato dall’intervento militare del 2011 in Bahrain voluto dal GCC guidato dall’Arabia Saudita con la partecipazione di 800 militari emiratini. L’obiettivo era fornire sostegno all’élite sunnita e impedire che si affermasse una presenza sciita nella regione orientale, dove sono ubicate risorse petrolifere e piattaforme per l’estrazione del greggio.
Oggi il ruolo politico delle due monarchie del Golfo si traduce nel GCC, prodotto di un’alleanza tra monarchie arabe sunnite conservatrici e organizzazione emergente in seguito alla caduta dei centri di potere di sempre nel mondo arabo: Il Cairo, Baghdad e Damasco. L’organismo è particolarmente attivo nell’impedire che i disordini trasbordino in casa propria. Non a caso, dopo lunghi anni di richieste rimaste in sospeso, Marocco e Giordania oggi sono invitati ad aderirvi, nonostante la grande disparità economica di questi Paesi con le realtà del Golfo.
Arabia Saudita e Qatar svolgono un ruolo funzionale a tracciare per il futuro le linee di potere nella regione, e lo fanno pur non condividendo appieno strategia e alleanze. Se finora la strategia in Siria li ha visti insieme, non è stato altrettanto per il corso delle rivolte in Egitto e Tunisia, dove le due monarchie si sono mosse seguendo principi puramente ideologici e divergenti. Coerentemente con l’immagine di mediatore auto-ritagliatosi, il Qatar riesce a mantenere un canale di comunicazione di favore per le espressioni della Fratellanza Musulmana che vanno dalla Palestina all’Egitto passando da Tunisi, senza voltare le spalle agli sciiti di Hezbollah, mentre, minacciando il regime siriano, entra in contraddizione nei rapporti con l’Iran. La sfuggente tendenza di fare politica del Qatar suscita l’ira tra i conservatori sauditi, più vicini ideologicamente ai salafiti egiziani del partito an-Nur e pronti a dare rifugio a personalità come Hosni Mubarak e Ben ‘Ali.
Le mosse strategiche alla base delle alleanze ricercate da Qatar e Arabia Saudita hanno rinchiuso in un labirinto il Medio Oriente in ebollizione dove tutti guardano verso più direzioni. A causa dell’alto coinvolgimento di attori e delle alleanze accordate su più livelli, ciascuna delle problematiche sul campo nella regione è già diventata una questione internazionale. Ciò che pare essere più tangibile è la tattica adottata dai due Stati del Golfo; far scendere in campo terzi per la salvezza dei propri interessi e per la propria sopravvivenza. Pur contendendosi una supremazia araba-locale, Qatar e Arabia Saudita sono, e continueranno ad esserlo ancora a lungo, i responsabili della ridefinizione della geopolitica regionale e delle relative conseguenze, dal momento che, nel mettere in gioco le proprie sorti, non fanno altro che puntare su quelle altrui.