In matematica, cambiando l’ordine degli addendi la somma non cambia: 2 + 2 fa sempre 4. Chiamasi proprietà commutativa. Nella geopolitica, invece, l’ordine degli elementi influisce sempre sul risultato: due o più Paesi possono essere alleati, avversari o addirittura nemici a seconda del tempo e del luogo in cui avviene la loro interazione. Si parla allora di realpolitik. E’ il caso di Qatar e Russia: nemici fino all’altro ieri per la questione siriana, i due (ex?) rivali sono adesso impegnati nella creazione di un nuovo cartello energetico capace di mettere in difficoltà l’Occidente.
Dalla Guerra Fredda alla crisi siriana
I rapporti tra Doha e Mosca sono sempre stati ambigui. Durante la Guerra Fredda i due Paesi non hanno mai intrattenuto relazioni diplomatiche: al pari degli altri Stati del Golfo, i qatarini erano rigidamente allineati alla politica estera saudita che rifiutava ogni dialogo con i russi, colpevoli di opprimere le minoranze musulmane all’interno della Federazione. L’apice giunse negli anni Ottanta con l’invasione dell’Afghanistan. Il ritiro dell’Armata Rossa da Kabul e la politica di riforme avviata da Gorbaciov avviarono il processo di disgelo tra le parti. Il primo accordo tra Russia e Qatar fu siglato il 2 agosto 1988, e nell’anno successivo furono inaugurate tanto l’ambasciata sovietica a Doha quanto quella qatarina a Mosca.
Le relazioni si sono mantenute cordiali fino agli inizi del 2004. Il 13 febbraio il capo dei ribelli ceceni Zelimkhan Yandarbiyev, fu assassinato a Doha da agenti segreti russi. Il fatto provocò un incidente diplomatico con reciproco scambio di accuse tra le parti: da parte qatarina, di aver condotto un’operazione segreta sul proprio territorio; da parte russa, di aver concesso sostegno finanziario e rifugio ai separatisti ceceni. Lo strappo sarebbe stato ricucito solo nel 2007 quando il presidente russo Vladimir Putin si recò a Doha in visita ufficiale.
Tre anni fa ci ha pensato la crisi siriana a mettere i due Paesi di nuovo su fronti contrapposti, non soltanto sul piano politico. Lo smaccato sostegno offerto ai ribelli dall’emirato e la strenua difesa di Assad da parte russa hanno avuto oscuri risvolti nelle loro relazioni bilaterali. Il 29 novembre 2011 Vladimir Titorenko, ambasciatore russo in Qatar, al suo arrivo nell’aeroporto di Doha e in violazione della Convenzione di Vienna sull’immunità del personale diplomatico, fu sottoposto ad una perquisizione non autorizzata da parte della polizia doganale conclusasi in un vero e proprio pestaggio. A causa delle lesioni riportate (tra cui distacco della retina dell’occhio) il diplomatico subì tre interventi chirurgici. Il ministero degli Esteri russo Sergei Lavrov diramò una nota ufficiale pretendendo le scuse formali dello Stato arabo e la punizione degli agenti di sicurezza coinvolti, senza ottenere risposta. Di conseguenza Mosca degradato ufficialmente le proprie relazioni con Doha.
Nei giorni seguenti emerse qualche retroscena. Un anonimo diplomatico russo rivelò che l’incidente era “un affronto a causa della posizione russa sulla Siria”, e il quotidiano libanese Al-Nahar raccontò che la Russia aveva respinto un’offerta di svariati milioni di dollari per revocare il proprio appoggio ad Assad. La reazione di Mosca è stata un rifiuto, accompagnato dalla conferma del proprio sostegno a Damasco: la Siria è l’ultimo avamposto russo sul Mediterraneo e non rinuncerà mai alla profondità strategica garantita da Assad.
Lo scontro si sarebbe ripetuto appena tre mesi dopo. il 7 febbraio 2012, dopo che l’affaire Titorenko fu pubblicamente denunciato dinanzi alle Nazioni Unite, pare che il rappresentante del Qatar nell’Assemblea abbia minacciato la Russia di tutti i paesi della Lega degli Stati Arabi, nel caso di imporre il suo veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza sulla Siria, La risposta dell’ambasciatore russo all’Onu, Vitaly Churkin, sarebbe stata una velata minaccia di voler “annientare il Qatar”, ma Churkin ha poi negato queste voci.
Le ragioni del sostegno di Doha ai ribelli andavano ben oltre l’aspetto religioso: Doha sperava che un nuovo governo insediato a Damasco avviasse e la costruzione del gasdotto che dal giacimento North Field (il più grande al mondo, condiviso tra Qatar e Iran) si sarebbe congiunto al Nabucco per rifornire l’Europa via Siria e Turchia: un piano che avrebbe sottratto il monopolio del gas a Gazprom.
Negli ultimi mesi sono cambiate molte cose. Con il rinnovato interesse russo per il Medio Oriente, il recente isolamento diplomatico a cui l’Arabia Saudita ha confinato il piccolo emirato e la bilancia della guerra in Siria tornata a pendere a favore di Assad, il Qatar, pur rimanendo alleato di Washington, si è gradualmente riallineato alla Russia. La ragione sta appunto in ciò che i due Paesi possiedono in abbondanza: il gas. Doha e Mosca sono tra gli esportatori di gas leader a livello mondiale e, almeno su questo piano, cooperano in difesa dei loro interessi comuni.
L’OPEC del gas
L’importanza degli idorcarburi come arma nella visione geopolitica del Cremlino è nota. Nei principali mercati di riferimento il prezzo del gas è fondamentalmente legato a quello del petrolio, ma questo paradigma sta rapidamente cambiando. Già oggi circa il 50% del gas consumato in Europa non è più agganciato al prezzo del greggio bensì a formule spot, di mercato libero, seppure con un evidente riferimento alle quotazioni dei mercati regolati. La portata e la rapidità del progressivo affrancamento del prezzo dell’oro blu rispetto all’oro nero minaccia di mettere la Russia in difficoltà. Soprattutto nei Paesi europei, che rappresentano il grosso dell’esportazione di gas per la Russia, c’è una richiesta continua di rinegoziazione dei contratti firmati. Le nuove formule che la Russia sta concedendo alle compagnie europee prevedono sconti sul prezzo del greggio, benché il legame con i corsi del greggio rimanga. Sembra solo una questione di tempo prima che i russi si vedano costretti a rivedere le proprie tariffe e, peggio ancora, ad adattarsi alla realtà di un mercato europeo liberalizzato.
In primavera, con i disordini nell’Ucraina russofona non ancora degenerati in guerra civile, l’Europa ha iniziato a guardarsi intorno alla ricerca di fornitori di gas affidabili che la affranchino dai vincoli politico-economici dettati dal monopolio russo. Tale fornitore che non saranno gli Stati Uniti (lo shale gas non sarà la nostra energia del futuro) ma potrebbe essere il Qatar, la cui quota nel mercato europeo del Gnl (gas naturale liquefatto) è ormai prossima al 10%.
La cooperazione tra l’emirato e il gigante russo trova la sua sede nel Gas Exporting Countries Forum (GEFC), organizzazione che riunisce gli 11 maggiori produttori di gas a livello mondiale. Segni particolari: è nata nel 2001 su iniziativa di Mosca e oggi ha sede a Doha. Per ora si tratta di un consesso di secondo piano, ma il presidente russo Putin intende rilanciarlo per farne il forum di riferimento dei mutui interessi dei Paesi produttori. Già oggi Russia, Qatar e Iran detengono insieme il 60% delle riserve mondiali. Lo scorso maggio il vice ministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanovsi è recato in visita a Doha. L’obiettivo del presidente russo Vladimir Putin è chiaro: rendere il GECF operativo, affinché acquisti a tutti gli effetti lo status di “OPEC del gas”, com’è stato giustamente definito.
Il Qatar è ancora considerato un convinto sostenitore della politica estera di Washington e continua ad appoggiare la causa dei ribelli siriani. Mosca, al contrario, non cede di un passo nel suo sostegno ad Assad. Ma le ambizioni di indipendenza energetica dell’Europa e i piani americani per inondare il mercato globale dell’energia con gas a buon mercato sono una minaccia per gli interessi vitali dei due Paesi. Nemici in Siria e amici a tutto gas. E’ la realpolitik, bellezza.
* Scritto per The Fielder