Nei mesi scorsi ho scritto diversi articoli sulla mia esperienza nella professione del blogging, supponendo di poter elargire qualche piccolo consiglio ai neofiti, che son sempre numerosi e spesso un po’ confusi. Tali articoli li trovate indicizzati nella sezione Scrittura di Plutonia Experiment, coi titoli “come impostare un blog”.
Giunti a questo punto avrei sì ancora diverse cose da dire – e magari lo farò – però mi urge più trarre qualche conclusione più… filosofeggiante.
In primis devo ammettere che, nonostante gli impedimenti di varia natura, le politiche ostiche di Google e l’offensiva massiccia dei social network, la voglia di bloggare non è mai venuta meno. O meglio, è venuta a meno un pochetto, mai al punto da voler chiudere baracca e burattini. Perché insistere? Perché non smettere di faticare nella ricerca di idee per nuovi articoli? Soprattutto davanti all’evidenza che, in Italia, un’attività del genere non verrai mai ritenuta dignitosa quanto un vero lavoro?
Una risposta vera fose non c’è.
Si può solo analizzare la situazione e formulare qualche teoria. Per quel che mi concerne il blogging finora è stato, alla fin fine, un arricchimento soprattutto per me stesso. Il che va in contraddizione con ciò che ho sempre sostenuto, vale a dire che si scrive soprattutto per gli altri. Ma forse la verità è che il blogging permette di fare entrambe le cose, ossia di gestire sia una scrittura introspettiva che esplicativa.
Curare un blog è un poi un po’ come non smettere mai di studiare e di informarsi. Il che non va visto nell’ottica intellettualoide di certi radical chic, i quali snobbano altezzosamente certi argomenti POPolari. A differenza di certi quotidiani assolutamente autoriferiti, i blog possono e devono coniugare divertimento e contenuti.
Avere apertura mentale, spaziare tra i vari interessi, magari tenendo un sottile filo conduttore che li leghi tutti, è forse il modo di bloggare che mi ha dato più soddisfazione. Forse sarà meno professionale rispetto al rigido monotematismo di altri colleghi, che decidono di non cambiare mai argomenti per non “confondere” il pubblico. Quindi parlano sempre e solo di libri, oppure sempre e solo di cinema etc etc.
Per non parlare dei blogger che parlano sempre e solo del “come si blogga”, e degli scrittori per parlano sempre e solo del “come si scrive”.
Mah…
Il pubblico, ecco, va rispettato, ma non deve dettare la linea a un blogger. Anzi, secondo me un buon lettore è quello che accetta di conoscere le varie sfaccettature dei blogger che segue, pur magari non condividendo tutto ciò di cui parla. Io, nel mio secondo (ma non secondario) ruolo di lettore, ho imparato a fare così. In tal modo mi sono appassionato di cose che un tempo non avrei considerato più di tanto: cucina, ecologia, animazione giapponese, fitness etc etc. E’ vero, a volte si tratta di un interesse marginale, di massima, ma che comunque mi arricchisce.
Bloggare, infine, è stato un po’ come costruire una casa. Piccolina, se paragonata ai palazzi sontuosi dei grandi media nazionali e internazionali, ma pur sempre mia.
E costruire è sempre qualcosa di bello. Ti realizza. Proprio per questo noi blogger ci arrabbiamo tanto quando qualche vandalo ci entra in casa con le scarpe zozze, ostentando maleducazione. Difendiamo ciò che è sì aperto al pubblico, ma che sentiamo pur sempre nostro. Come è giusto che sia.
E per voi? Cosa significa bloggare? E’ un’esperienza che vi appaga, o a cui potreste rinunciare a cuor leggero?
Ve lo chiedo perché ho notato un crescente numero di blog abbandonati a se stessi. Il fenomeno, non lo nego, m’intristisce un po’. Anche se ahimé lo comprendo fin troppo bene.
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