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"Qualcosa che si nota improvvisamente" di IVANO NANNI

Creato il 15 giugno 2013 da Caffeletterariolugo
Sull'incontro di mercoledì 12 giugno con lo scrittore Ugo Cornia che ha presentato il suo libro “Scritti di impegno incivile” edito da Quodlibet.
Allora è come fare una passeggiata in città, nella nostra città dove siamo nati, dove tutto ci sembra uguale e non notiamo più niente a meno che non ci venga addosso o non vada addosso a qualcun altro. Eppure se solo si passeggiasse senza lo sguardo fermo, infilzato nel vuoto, con le pupille secche come quelle dei pesci sui banconi del mercato, ci verrebbe da dire che è ancora possibile camminare e notare quelle cose che non si sono mai viste, come mi capita sempre più spesso tanto che a volte mi chiedo se questa città dove sono nato sia davvero quella in cui vivo. Non so se qualcuno ricorda la poesia “Viazé” di Raffaello Baldini, dove lui dice che non ha desiderio di viaggiare, che per lui entrare nella valle del Marecchia (e chissà quante volte c'è entrato) è un viaggio sempre nuovo, e a pensarci bene si rimane prima sbalorditi della verità di quelle parole e poi rileggendole  le senti vibrare nel corpo tanto sono vere, e facendo un salto logico si può anche capire cos'è l'esotico nostrano e come abbiamo vicino le cose che non conosciamo, quelle cose misteriose che ci affascinano e che spesso cerchiamo fuori noi, nei viaggi all'estero o nella finzione cinematografica. E perciò osservare sempre meglio, così come parlare del più e del meno, è più che altro effimera propensione alla celebrazione di eventi minimi che è quanto abbiamo a disposizione e di cui ci nutriamo, in quanto siamo fatti della stessa sostanza del minimo e parlando di queste sequenze minime finiamo inevitabilmente per parlare di noi, specie senza intenzione, che è la cosa migliore; perciò ho l'impressione che anche nelle letture di Ugo Cornia quel parlare fitto di eventi piccoli sia come una specie di registrazione del nulla che sta alla base del nostro esistere come apparenza e, quei fatti piccolo- grandi descritti minuziosamente dicono molto di più di noi e su di noi che qualunque filosofia e sociologia accademica. Osservare e descrivere con lo stupore di chi non ha mai visto quello che ha sempre avuto sotto gli occhi è un salto nel vuoto, in una specie di nazione senza confini dove il detto e lo scritto si confondono in una pigra leggerezza, erodono le differenze e presuppongono l'avventura di un pensiero nomade che si sposta a piedi con la propensione a perdersi perfino nella camera da pranzo. Tutto ciò che si scrive è già polvere nel momento stesso in cui viene scritto, ed è giusto che vada disperso con le altre polveri e ceneri del mondo. Scrivere è un modo di consumare il tempo, rendendogli l'omaggio che gli è dovuto: lui dà e toglie, e quello che dà è solo quello che toglie, così la sua somma è sempre lo zero, l'insostanziale. Noi chiediamo di poter celebrare questo insostanziale, e il vuoto, l'ombra, l'erba secca, le pietre dei muri che crollano e la polvere che respiriamo.” (Gianni Celati  “Quattro novelle sulle apparenze”).
di Ivano Nanni

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