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qualcosa di concreto

Creato il 04 aprile 2014 da Gaia

So che ci sono alcuni tra i lettori del blog che sono molto preoccupati dalla questione della crescita della popolazione. Come si sarà capito, lo sono anch’io, al punto da pensare che sia la maggiore emergenza che ci troviamo ad affrontare, perché racchiude tutte le altre – devastazione ambientale di ogni tipo, instabilità, carestie, deterioramento della qualità della vita… Non voglio suggerire che risolto quel problema si risolva tutto; smettere di crescere di numero e iniziare a decrescere è una condizione necessaria ma non sufficiente per affrontare le sfide che ci troviamo davanti.

Essendo io molto preoccupata, mi chiedo cosa si possa fare di concreto a parte inveire sul blog. Da un lato, convincere le donne che fanno molti figli a farne meno è il modo più etico per ridurre la popolazione e porta benefici alle donne, ai bambini e alle società nel loro complesso, sia quelle povere che quelle ricche. È quindi una delle rare soluzioni le cui controindicazioni sono infinitamente minori dei vantaggi. D’altro lato, tutti i valori su cui si basa non solo la civiltà occidentale, ma più o meno tutte le società del mondo nonché la stessa nostra biologia oppongono resistenza all’idea di decrescere demograficamente, anche se questo è razionalmente desiderabile e necessario. Quindi convincere le persone dell’ovvio e del logico è incredibilmente difficile. La prima cosa da fare, quindi, è lavorare incessantemente per cambiare il punto di vista, tartassando media, politici, autorità religiose, conoscenti (se ve la sentite) ogni volta che viene fuori l’argomento.

Un’altra cosa che ho pensato che si potrebbe fare è sostenere materialmente chi si impegna a fare qualcosa in merito. Navigando su internet ho conosciuto queste associazioni, anche se non ne ho avuto esperienza diretta:

Population Media Center: usa le soap opera televisive e radiofoniche per cambiare gli atteggiamenti degli ascoltatori o spettatori nei confronti di temi quali le malattie sessualmente trasmissibili, i contraccettivi, il traffico di minori, i diritti delle donne… Colonialismo culturale, si dirà, ma a me non sembra: hanno programmi anche negli Stati Uniti e in ogni paese lavorano con autori e attori del posto, cercando di capire il contesto culturale e di adeguarvisi, anche perché se no le loro storie non sarebbero sentite come vere da chi ascolta.

NSVI (no-scalpel vasectomy international: questa è un’associazione estremamente specifica che secondo me svolge un servizio preziosissimo, offrendo vasectomie gratuite a uomini di paesi poveri che non vogliono più avere figli (e che da quanto ho capito ne hanno già avuti) e sono stati preventivamente informati sull’operazione. Su questo blog c’è già stata una discussione in merito, ma io approfondendo il lavoro di questa associazione mi sono convinta che il loro lavoro è del tutto meritevole. La mancanza ad esempio di contraccettivi nelle Filippine, esclusivamente colpa della chiesa cattolica che ha fermato una legge per anni e ora l’ha impugnata, è una tragedia umanitaria. Di recente ho scoperto che la vasectomia a scopo contraccettivo in Italia è quanto meno scoraggiata. Solo che almeno noi abbiamo accesso ad altri tipi di contraccettivi: c’è chi non ha neanche quello. E poi sarebbe ora di smetterla di scaricare tutto il peso sulle donne, e di coinvolgere anche gli uomini.

Population Matters, nel Regno Unito (o iu-chei come dice Renzi) e Ecopop, in Svizzera, svolgono attività di sensibilizzazione e campagne sul tema della popolazione e della riduzione dell’immigrazione, in un’ottica anti-razzista e basata sui fatti. In Italia c’era un’associazione, Rientro Dolce, ma a quanto ho letto sul loro sito non è più attiva. Penso che fondare un’associazione su questo tema, in Italia, sarebbe necessario e una bella boccata d’aria in un dibattito sterile tra opposti estremismi. Se qualcuno decide di farlo mi faccia sapere, sarei interessata :)

Comunque, quello a cui volevo arrivare è che chi è interessato al tema forse può fare qualcosa contribuendo alle associazioni che se ne occupano. Anche per ridurre la frustrazione nel vedere che le cose peggiorano di giorno in giorno e tutti se ne fregano.

E a proposito di donne e riproduzione, recentemente ho letto un bel libro a fumetti sulle donne dello Yemen, basato sugli incontri e le ricerche di una fotografa italiana. L’autore è un mio parente, ed è così che ho incontrato questo testo, però siccome mi è piaciuto molto ho pensato di fare un po’ di pubblicità familista non richiesta. Tra l’altro lo Yemen dev’essere un posto molto affascinante. Probabilmente non esiste un posto non affascinante.

Il libro comunque tratta della condizione della donna in questo paese in maniera intelligente e sfaccettata, aiutandoci a capire perché è così difficile ribellarsi e quali possono essere modi intelligenti di farlo, e ricordandoci che dietro ogni oppressione c’è la complicità dell’oppresso, dettata da paura, ignoranza, lavaggio del cervello, ma anche da valori nobili quali il senso del dovere, la gratitudine e l’amore.

E a proposito di donne e oppressione, faccio un altro excursus. Ad un certo punto nel libro una donna yemenita fa il solito discorso che fanno certe donne, e anche uomini, non occidentali: sì, va bene, noi ci dobbiamo velare, ma almeno non dobbiamo come voi essere sempre belle e sensuali. Non abbiamo quell’ansia lì, non dobbiamo per forza vestirci attillate, truccarci, esporci. Leggendo queste cose avrei voluto saltare nel libro e rispondere a questa donna. Siccome non potevo lo faccio qui.

Non è la stessa cosa. È vero, non è il massimo neanche nella nostra società, dove le diseguaglianze rimangono,  il femminicidio è un problema irrisolto ed effettivamente ci si aspetta che una donna sia bella, sensuale, giovane, curata. La differenza è che noi siamo libere. Se io non voglio depilarmi, non voglio mettermi il reggiseno e non voglio truccarmi qualcuno storcerà il naso, non mi prenderanno a fare la cameriera, e magari ci sarà chi me lo farà pesare, però io resterò libera di scegliere e magari troverò pure marito, se è quello a cui ambisco. C’è una bella differenza.

E poi, come mostra questo libro, più copri la donna e più ti preoccupi di cosa c’è sotto. Certo, certi atteggiamenti fastidiosi e predatori non ci sono risparmiati neanche qui, ma di sicuro non devo aver paura di mostrare la mia faccia peccaminosa: ci sono tutti abituati e si può anche andare oltre. Se invece passa l’idea che il corpo e il volto di una donna sono fonte di tentazione, questa donna non sarà mai nascosta abbastanza: nel libro un ragazzo presentato come moderno fa una scena di gelosia alla sua fidanzata, che porta il niqab, perché gli occhi sono truccati e lei si muove molto, e gli uomini lo notano. Sotto quella palandrana nera! Andiamo in giro nudi e facciamoci l’abitudine, piuttosto.

Io non sopporto chi trova queste cose accettabili e cerca un equivalente occidentale per dimostrare che anche noi siamo oppresse. Sì, ogni tanto, ma molto meno. Io sono contenta di essere nata qui, come donna. Io voglio che tutte le donne del mondo siano libere di scegliere come lo sono io.


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