" Quando tutte le prerogative di nascita e di ricchezza sono distrutte, quando tutte le professioni sono aperte a tutti, e si può giungere da soli all'apice di ciascuna di esse, una carriera immensa e facile sembra aprirsi davanti all'ambizione degli uomini, ed essi si immaginano volentieri di essere chiamati a compiere grandi cose. Ma l'esperienza quotidiana s'incarica di correggere questo modo erroneo di giudicare. La stessa uguaglianza che permette a ogni cittadino di concepire grandi speranze, rende tutti i cittadini deboli individualmente. Circoscrivere le loro forze, permettendo in pari tempo ai loro desideri di espandersi [...] Hanno distrutto gli irritanti privilegi di alcuni dei loro simili; incontrano la concorrenza di tutti. Il limite ha cambiato forma anziché posto. [...] La costante opposizione che regna fra gli istinti che l'uguaglianza genera e i mezzi che essa fornisce per soddisfarli, tormenta e affatica gli animi [...] Per democratica che sia la condizione sociale e la costituzione politica di un popolo, si può star certi che ogni cittadino coglierà sempre accanto a sé molti elementi di costrizione, e si può prevedere che volgerà ostinatamente lo sguardo solo da quella parte ".
Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, [citazione presa da R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano 1965, pag. 107]
Era qualche giorno che giravo intorno a questa citazione con l'idea di scriverne qualcosa. Gli appunti presi non mi convincevano, gli strali sui tassisti meno. Eppure qualcosa volevo dire partendo dal fatto che vivere in una repubblica, per di più democratica, comporta un periodico rinnovamento dei codici che regolano la vita civile, giacché - mi pare ovvio - che qualcosa che si è stabilito un tempo, cinquanta o trent'anni fa, oggi possa essere riconsiderato secondo una nuova prospettiva. Questo è, o almeno dovrebbe essere, un principio valido per ogni sana convivenza civile e democratica che tenga conto, innanzitutto, dell'interesse generale dei cittadini.
Ripetiamo alcune cose basiche. Nel '46 nacque la Repubblica. Nel '48 fu approvata la Costituzione. Da essa sono scaturite tutte le leggi che regolano il nostro vivere. Il codice penale, il codice civile, il codice tributario, il codice stradale, eccetera. Anche il codice che regola il funzionamento della professione dei tassisti. O dei farmacisti. O dei notai. O degli insegnanti. Eccetera.
Prendiamo la Scuola: chiunque, dal dopoguerra a oggi, può notare che essa è strutturalmente cambiata nel corso degli anni. In peggio o in meglio... non importa qui stabilirlo, ma essa, come istituzione codificata, è cambiata e cambia continuamente. Prendiamo, invece, i farmacisti. Cos'è cambiato da allora? Il fatto che, tranne pochissimi, non fanno più preparazioni galeniche e che ogni farmacia vende ogni ben di multinazionale. E i tassisti? Non hanno più le auto gialle, ma bianche; non avevano il navigatore, lo hanno. La struttura del lavoro di molte categorie è rimasta tal quale a quando fu concepita la prima regolazione dello stesso, tranne poche, non certo strutturali modifiche .
Giravo intorno, dicevo, a queste idee senza sbocco, quando oggi ho letto questo post di Giulio Mozzi che ha dato una possibilità in più al mio (s)ragionare:
qual è il senso dei vincoli? Perché nelle precedenti legislature furono stabiliti? Perché oggi si tolgono? Se si cambia una legge, è di solito perché qualcosa nella realtà è cambiato: che cosa dunque è cambiato oggi rispetto a cinque, dieci, venti anni fa? Perché vent'anni fa aveva senso dover chiedere la licenza per aprire un negozio, e oggi non ha più senso?
Ecco, che " qualcosa nella realtà è cambiato", è pacifico. Ed è evidente che, fatti salvi i punti cardinali della Costituzione, tutte le procedure che regolano il nostro vivere civile, il nostro lavoro, eccetera, debbano essere riesaminate quando il loro dettato cozza contro la nuova realtà delle cose. Il problema fondamentale è che, quando vengono fatte queste regolazioni, quale che sia il governo, per avere una reale efficacia e una loro intrinseca giustizia costituzionale, esse dovrebbero essere applicate in modo da "registrare come un motore" tutto il funzionamento della macchina-Stato.
E la ragione per cui il vero colpo tra capo e collo agli italiani dipendenti della riforma delle pensioni, pur lasciando tanta amarezza nella popolazione, non ha provocato una protesta paragonabile a quella dei tassisti o dei camionisti, è perché in questo caso, il governo ha distribuito il colpo su milioni di cittadini facendoli partecipi di un sacrificio (non voluto) per il bene del Paese.
Nel mondo democratico occidentale, il modo migliore per ottenere dei vantaggi è cercare di farsi passare da vittima. Nella moltitudine è difficile che tutti coloro che la compongono assumano su di sé questo ruolo sacrificale. Non così nelle piccole categorie professionali, che urlano come baccanti il loro dolore, stando lì pronte ad azzannare il primo politico che passa scambiandolo per un vitello. È questa la vera ragione per cui mette più in crisi una nazione una minoranza rumorosa che scalpita per quella che considera un'ingiustizia ai suoi danni, che una maggioranza di agnelli sacrificali che mesti accettano vengano tolti gli adeguamenti dei loro stipendi all'inflazione.