Su un blog ho trovato questa frase:
“Mi piace tenere le persone a distanza. Perché sono socialfobica”.
Non l’avevo mai messa in questi termini ma penso che sia la più bella definizione di fs che ho sentito: sta tutta lì, la fobia sociale, nel tenere la gente a distanza. Ci rimanevo male quando le amiche, verso le quali provavo affetto, con le quali mi pareva di essere premurosa, e alle quali m’illudevo di risultare simpatica, mi definivano poi “scostante”. Bene, ora lo sanno tutti che sono scostante: guai a chi si avvicina!
Ricordate il tizio dell’Associazione Tal dei Tali? Eravamo rimasti che dovevo chiamarlo. Trovare una scusa per posporre, come ben sapete, aiuta a rilassarsi e per qualche giorno ho spinto il problema nel retrobottega della mia mente incasinata. Alla fine mi costringo a fissare sull’agenda una data per telefonare.
Dimenticavo di dirvi che, oltre che socialfobica, sono anche ossessivo-complusiva, pianifico tutto, m’impongo doveri e faccio ogni cosa secondo schemi da me stabiliti e regole autoimposte. Questo mi aiuta a essere metodica, a concludere, a portare avanti gli impegni fino allo sfinimento, ma limita molto l’inventiva e rende inattuabile e ansiogena l’improvvisazione.
Giunto il giorno per telefonare, capitolo, vengo sconfitta da me stessa, e delego ad un amico l’impegno, il quale, però, dimentica di farlo. Allora prendo il coraggio a quattro mani e chiamo io. Fissiamo un appuntamento per la settimana dopo nella sede dell’associazione. Altro rinvio, altro momentaneo rasserenamento: chi sa, capisce.
Man mano che il fatidico giorno si avvicina, nondimeno, l’ansia anticipatoria monta. Mi sforzo di pensare a tutto quello che, da mesi, consiglio a voi. Mi dico che è il tizio che vuole vedere me, non io lui, che è lui che deve sentirsi a disagio, non io. La paura del panico, tuttavia - la paura della paura - è sempre in agguato. Il giorno dell’incontro mi sveglio agitata, come se andassi a un esame, con un filo d’emicrania che minaccia di deflagrare, e non vedo l’ora di togliermi il dente. Vorrei farmi accompagnare ma decido che devo affrontare la cosa da sola, che sono adulta e vaccinata, che avere sempre uno chaperon è limitante e non mi fa fare certo bella figura.
Il tizio, compassionevole, ha davvero “allestito un confessionale” per me. Mi riceve in una stanzetta, siamo a tu per tu, e questo per me va bene, interagire con una sola persona non è troppo difficile, non sopporterei, al contrario, che ci fosse qualcun altro a osservare mentre parlo con lui. Nella stanza accanto è in corso una riunione di soci e ho il terrore che voglia portarmi di là e presentarmi, ma ha il buon senso di non farlo.
In breve vi dico che sono soddisfatta di come ho gestito la situazione. Alla sua gentile richiesta di farmi partecipare alle conferenze, rispondo con tutta la decisione che mi concede la mia voce malferma: non è una cosa che rientra nelle mie possibilità o capacità. Lui insiste che la timidezza si supera con l’età. Sto per ribattere che la mia non è timidezza ma fobia sociale, poi scelgo di tacere. Non è un amico, non gli devo spiegazioni, si accontenti di sapere che non mi va e basta. Mi dice che ci sono altri che partecipano solo per scritto e hanno delle remore a presentarsi in pubblico. Le mie non le definirei esattamente “remore” ma sorrido e cambio argomento.
Anche se non sono sciolta, riesco per tutta la mezz’ora a parlar in modo abbastanza chiaro e fermo, tengo in mano io il gioco, stabilisco con risolutezza ciò che voglio e non voglio fare: interverrò alle conferenze più interessanti, gli dico, ma solo come spettatrice e, a casa, scriverò qualcosa in proposito. Leggerò i suoi libri e li recensirò. Non mi paga, penso, perciò se gli va, è così, altrimenti è così lo stesso. Al momento di congedarmi – momento tragico di cui parleremo in un’altra puntata - deve leggermi l’imbarazzo in faccia perché è lui a interrompere bruscamente e salutare. Esco abbastanza soddisfatta: questa volta è andata bene. Altre volte l’ansia aveva superato le aspettative, qui, per fortuna, è stata inferiore.
Ma se non avessi parlato con voi, se non avessi a sostegno questa specie di blog confessione, non avrei saputo affrontare la cosa nel modo giusto e sarei caduta nell’angoscia da prestazione, con la paura di non sapermi rifiutare e il senso di colpa per aver perso, al contempo, una occasione stimolante.
Per finire, vi lascio con una massima: non cercate l’approvazione altrui - l’approvazione di vostra madre o di vostro padre, di vostra sorella, del vostro ragazzo, dei professori, dell’amica. Non l’avrete mai. Ognuno di noi critica ed è, a sua volta, criticato. È una legge di natura, è nell’ordine delle cose. Quindi, nei limiti del consentito, fate ciò che sentite giusto per voi. Non piacere per non piacere, meglio che siate disapprovati perché avete fatto qualcosa che vi gratifica.
Scrittura e Fobia Sociale
come me, è affetto da fobia sociale e quindi, pur scrivendo ... La resa dei conti Rieccomi qui, dopo tutto questo tempo, per dirvi che, alla fine, non cambia mai niente, che la fs ti ammazza a venti
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