“Omnes arbusta iuvant humilesque Myricae”.
Il mio poeta preferito, Giovanni Pascoli, inizia così l’epigrafe della sua raccolta di poesie più famose, intitolata Myricae. A tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici, si potrebbe tradurre. Questa frase, ovviamente, ha un significato decisivo nella storia poetica pascoliana, introducendo nella raccolta il fondamentale concetto di diritto di cittadinanza per tutti gli elementi della realtà. Ma, a mio parere, questa straordinaria rivoluzione che riguarda l’oggetto della poesia è soprattutto la premessa a una ancor più straordinaria capacità di Pascoli, capacità che lo rende a tutti gli effetti il mio poeta preferito.
Questa capacità non è facilmente descrivibile a parole, e per capirla appieno è necessario analizzare brevemente la poesia più bella del poeta emiliano, L’assiuolo. La riporto qui sotto:
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù…
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù…
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?…);
e c’era quel pianto di morte…
chiù…
Ci sarebbe tantissimo da analizzare in questa poesia, ma l’elemento che a me stupisce ogni volta che la leggo, che è alla base della capacità di Pascoli di cui sopra parlavo, è il fatto che il poeta emiliano agisca sempre su 2 piani. Prendiamo ad esempio la metrica. Pascoli usa il novenario, verso per eccellenza della filastrocca e della tradizione popolare (in accordo con la sua poetica del fanciullino), eppure, come ha saggiamente notato Contini, lo rompe continuamente con punti interrogativi o esclamativi, pause e virgole. Questa rottura del verso è qui probabilmente dovuta alla volontà di Pascoli di creare un’atmosfera di tensione, di angoscia, ma mette soprattutto in evidenza l’abilità, che sarà sviscerata meglio in seguito, di trasformare un qualcosa di semplice e lineare in una sensazione angosciosa e inquieta. Un’altra consuetudine di Pascoli è quella di passare continuamente da un linguaggio grammaticale, quello che utilizziamo tutti i giorni, a uno pregrammaticale, onomatopeico e fonosimbolico. Questa caratteristica, che è nuovamente un agire su 2 piani differenti, quello della ragione e quello del pre-razionale, è fondamentale per tentare di spiegare il perchè questo poeta mi piaccia tanto. Come nella metrica e nel linguaggio, infatti, Pascoli riesce anche nei contenuti a lavorare su due diversi livelli.
Mentre parla delle “Myricae”, cioè di cose piccole o inutili, mentre descrive piccoli oggetti o animali, il poeta emiliano sta descrivendo in realtà di qualcos’altro, qualcosa di più importante, sta mettendo in risalto delle sensazioni che sono fondamentali per ogni essere umano. Nell’Assiuolo per esempio la sensazione che si ha leggendo la poesia è quella di un’ansia, una preoccupazione, un timore, eppure Pascoli non ha descritto razionalmente queste cose, anzi sta raccontando un paesaggio lunare. Il genio di Pascoli è questo. L’apice della sensazione irrequieta che circonda la poesia si raggiunge nel “chiù” finale di ogni strofa. E il “chiù” non è una descrizione dettagliata dell’ansia che assale il poeta, una lucida spiegazione razionale su come mai abbia questa sensazione, ma semplicemente il verso onomatopeico di un animale notturno. Cerco di spiegarmi meglio. È come se Pascoli ci stesse dicendo che per quanto grande possa essere la ragione umana, per quanto l’uomo possa spiegarsi bene, è nella sfera pre-razionale che si riesce a descrivere al meglio ciò che l’uomo realmente prova. Le sensazioni che ogni persona sente durante il corso della propria vita sono un qualcosa che va oltre il ragionamento puro.Ma il fatto straordinario in realtà è che Pascoli era un classicista, un latinista, un intellettuale di prim’ordine insomma. Questo ci fa comprendere come sia ancor più incredibile questa scelta. Essere una persona colta non ha impedito al poeta emiliano di intuire che la ragione è sì il più alto degli strumenti umani, l’apice a cui l’uomo può aspirare nella sua vita, ma che esistono anche diverse sfumature all’interno di ogni essere umano che non hanno a che fare con la ragione, e che a volte per spiegare queste sfumature è necessario “abbassarsi” al livello del pre-razionale. Ecco dunque spiegata la necessità di parlare delle cose piccole, delle “myricae”. Solo grazie alle “myricae” infatti si riesce a descrivere davvero i particolari dell’animo umano, le sensazioni, anche quelle più brevi, a fare dei rapidi ritratti dei presentimenti che albergano in ognuno di noi. Ed è questa la capacità fondamentale di Pascoli.
Eppure la poesia dove mi sono accorto di questa abilità del poeta emiliano è un’altra, ovvero La nebbia, presente nella raccolta dei Canti di Castelvecchio. Eccola:
Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli,
d’aeree frane!
Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valerïane.
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che danno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane
Che vogliono ch’ami e che vada!
Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane…
Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch’io veda il cipresso
là, solo,
qui, quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.
Non appena ho letto questa poesia provato una strana sensazione. Vorrei descriverla anche a voi, ma forse, se seguissi quello che mi ha insegnato Pascoli, sarebbe meglio non farlo. E credo che seguirò il suo consiglio. Provate a leggerla, e forse quello straordinario presentimento lo avvertirete anche voi.
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