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"qualcuno ci giudichera' ", inseguendo un cambiamento...
Creato il 15 maggio 2014 da Alessandro @AleTrasforini"Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista alla prossima generazione."
Può questa affermazione costituire e costruire la questione fondamentale relativa al fare politica?
Con i tempi che corrono, per fortuna o purtroppo, guardare solo alla prossima generazione potrebbe non bastare: si dovrebbe altresì guardare alle prossime generazioni, senza distinzioni di tempo e di spazio.
Condizionale d'obbligo, viste sia la credibilità che la (percepita o fondata?) coerenza della politica in tempi (eufemisticamente definibili come) sfavorevoli.
La caccia al consenso immediato ha generato, nel tempo, un giudizio diffusamente negativo riguardo ad interpreti della politica e statisti; come poter definire, invece, i potenziali giudizi esprimibili da parte delle molte prossime generazioni che si susseguiranno nell'incedere degli anni?
Tutte le decisioni prese oggi, infatti e nei fatti, non tarderanno ad imprimere una traccia anche (o soprattutto?) nel futuro: la politica è riuscita a lasciare fin qui una traccia positiva relativamente al proprio operato? Quali e quanti fra i provvedimenti assunti a livello locale-nazionale-mondiale in tutti questi anni hanno goduto di un "respiro" sufficientemente ampio ed apprezzabile per il futuro elettore?
Alla luce di queste e moltissime altre domande, pertanto, la ricerca del consenso dovrebbe essere impostata all'insegna dell'elettore che verrà.
Non sarà certamente una missione facile da raggiungere ed inseguire; è però un obiettivo necessario, al fine di (provare a) riabilitare la dignità di una delle scienze più complesse e sottovalutate al mondo.
E' attorno a questo concetto di fondo che si muove il libro "Qualcuno ci giudicherà - la sfida per il cambiamento dell'Italia", scritto da Giuseppe Civati e pubblicato da Einaudi - Stile libero Extra.
Le potenzialità di azione e ragionamento della politica dovrebbero essere incluse nella massima di pensiero richiamata esplicitamente nel seguito, per mano di un autore particolarmente propenso alla ferma volontà di non appiattirsi e non adegarsi ad un penoso status quo:
"[...] Dovremmo agire pensando che il nostro elettore di riferimento è appena nato. [...]"
Sarà davvero questa la chiave di volta per interpretare un pensiero che dovrà coniugarsi per forza e/o per necessità come nuovo?
Condizionali d'obbligo, visti certi precedenti (recenti e non).
La definizione di un pamphlet strutturato per il futuro non può prescindere dalla necessità di discutere con attenzione e meticolosità attorno ad una delle principali (e pressochè infinite) anomalie italiane:
"[...] L'Italia è un Paese dove i giovani dipendono dai vecchi, dove 'è Anchise a portare sulle spalle Enea mentre la città brucia.
Non il contrario, come sarebbe naturale.' E 'dove nessun futuro è stato pensato per Ascanio, il nipote.' Partendo da questa constatazione, Giuseppe Civati [...] ci racconta la sua versione dei fatti.
Ci dice quali sono gli attori che si contendono la scena.
Quali sono gli ostacoli a un cambiamento che non può più essere rimandato.
Perché se oggi è il momento di fare, e di fare in fretta, non possiamo però ripetere l'errore che segna da sempre la vita del nostro Paese, quello di agire senza rifletttere, senza pensare alle ripercussioni delle nostre scelte sulle prossime generazioni. [...]"
E' troppo spesso infatti impossibile allontanare un cambiamento , di qualsiasi "forma" esso sia, in una società tremendamente complicata come quella contemporanea: più la sua (pre)potenza viene limitata, maggiori potranno essere le conseguenze negative che la sua "onda" scaricherà sulla "società circostante". Un cambiamento non può neppure essere guidato, qualora chi si propone come leader non abbia nè la coerenza e neppure la credibilità per poterlo fare. Quanti esponenti dell'attuale politica possono dirsi credibili? Quanti hanno avuto quantomeno incrinata la propria coerenza, in questi terribili anni di crisi socio-economica (ma non solo)?
Le classi dirigenti di questo Paese, siano esse politiche ma non solo, avrebbero il dovere di amministrare il presente per salvaguardare il futuro; condizionale d'obbligo, inevitabilmente, anche qui. Piantare "semi" positivi che, forse, potranno fiorire un domani non troppo lontano.
A questo proposito, infatti, l'autore del libro richiama una massima attribuita all'imprenditore ed economista Warren Buffett:
"Qualcuno siede all'ombra oggi perché molto tempo fa qualcun altro ha piantato un albero."
Per veder crescere un albero nel domani serve, infatti, piantare un seme oggi; non sembrano esserci molte alternative in proposito.
La costruzione di una politica che da seme possa trasformarsi in rigoglioso albero dovrebbe vedere, al centro della propria azione, una necessaria ripresa di credibilità per (ri)strutturare un progetto collettivo all'altezza del progresso che potrebbe attenderci:
"[...] Ogni tanto immagino di vedermi tra vent'anni, quando di certo non sarò più in politica.
O penso a che cosa dirà un giorno mia figlia di quello che avremo fatto in questo Paese.
E che avremo fatto proprio noi, che per un certo periodo abbiamo avuto piccole e grandi responsabilità.
Mi pongo [...] in modo semplice [...] il problema di un 'principio di responsabilità' [...] consapevole che saremo giudicai al di là delle chiacchiere, delle contrapposizioni, del ritmo forsennato di dichiarazioni e controdichiarazioni che tanto sembrano appassionarci e che consumano il nostro tempo, e invadono il tempo di tutti. [...] Non possiamo sempre solo lamentarci, dobbiamo concentrarci a fare le cose che non abbiamo visto fare, andare alla ricerca di un tempo perduto che non sia ricerca nostalgica, ma sia capace di innovazione, di recuperare [...] ciò che abbiamo perso o trascurato.
Un tempo nuovo che invece di perdita sia guadagno e crescita per ognuno di noi. [...]
Occorre iniziare a fare adesso cose che non solo diano risposte oggi, ma che ne preparino di più forti domani. Bisogna passare dalle promesse che infuocano il momento contingente, e a poco a poco si spengono, alle premesse più rigorose di qualcosa di diverso, che abbia un solido valore in sé e non serva solo ad ammaliare. [...] Il tempo lungo ci dirà se il modo con cui stiamo inseguendo la felicità riguarda solo la nostra generazione o anche quelle dei nostri figli e nipoti.
Se a questa felicità siamo capaci di dare una forma durevole, sostenibile per noi e per chi verrà dopo di noi. [...]"
Cosa potrebbero dirci gli elettori del futuro in un'improbabile ma non certo surrealistica intervista impossibile?
Fare politica in una maniera nuova, se è ancora possibile farla, dovrebbe essere un'attività che investa nelle possibilità di una generale ma non generica collettività; tutto questo dovrà essere fatto promuovendo una differente versione di ciò che è qualificabile come "bene pubblico", coltivando di volta in volta le potenzialità concretizzabili per (in)augurare un giorno migliore.
Giorno migliore e, se possibile, duraturo.
Il giorno in questione potrà e dovrà essere osservato anche (o soprattutto) dal punto di vista dei bambini, rappresentanti per eccellenza del futuro che ancora deve arrivare implacabile:
"[...] I bambini ci guardano, diceva - intendendo qualcos'altro, ma dando vita a un'espressione che é politicamente fortissima - un vecchio film di Vittorio De Sica. Ciò vale per le persone, per le parole, per le cose che diciamo, per i comportamenti che scegliamo di seguire, per le campagne che promuoviamo, per la libertà che riconosciamo agli altri proprio mentre affermiamo la nostra. [...]"
Concretizzare questo pensiero è, senza dubbio, uno dei compiti più ardui e difficili da assolvere che possano capitare in una singola esistenza; tale complessità val bene una sfida? Rispondere a questa domanda in maniera univoca è pressoché impossibile, in quanto troppo elevati sono i "margini" di soggettività. A prescindere dai punti di vista, siano essi di qualsiasi essere umano con responsabilità imprecisate ed imprecisabili, una questione di fondo dovrebbe essere sempre osservata e tenuta ferma:
"[...] Pensare che qualcuno, un giorno, ci giudicherà.
Valuterà quello che abbiamo fatto, ne osserverà le conseguenze.
Ci ringrazierà o forse ci condannerà. Per sempre.
E lo farà perché lui è il vero destinatario delle nostre imprese.
Il cittadino cui dobbiamo rivolgerci nei comizi, nei comunicati stampa.
Il nostro elettore ideale, anche se non ci potrà votare. In pratica dovremmo agire pensando che il nostro elettore di riferimento è appena nato. [...]"
Missione difficile, forse impossibile vista la perdita di credibilità collettiva a cui certe realtà stanno andando e sono andate incontro.
Nonostante tutto, comunque, vale sempre la pena sperare (per non disperare?):
"Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita."
(E.Berlinguer, cit.)
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