L’Indomani della vittoria di Renzi alle Primarie, “Tra i Leoni” ha pubblicato un articolo celebrativo di Berlinguer. Viene quindi subito da notare quale sia l’idea di rinnovo di partito che ci aspetta, ma vabbeh.
Dunque Berlinguer rappresenta per me (e non solo per me, ma con mia grande sorpresa anche per molti con una cultura politica che nasce comunista, italiana e non) una delle figure politiche più inspiegabilmente deformate dalla storia. Un politico dei più mediocri del suo partito, rivalutato come l’unico degno di essere ricordato. Ma forse chi lo ricorda in realtà non se lo ricorda, e piuttosto ricorda film come “Berlinguer ti voglio bene”. Una figura politica creata su ciò che altri han detto a posteriori di lui, invece che su ciò che effettivamente facesse, mentre lo faceva.
E quindi, a un articolo che lo celebra a posteriori, mi sento in dovere di rispondere riportando quanto egli effettivamente abbia fatto.
“sono quelli [gli anni] tra i più duri per la nostra Repubblica, sono quelli del tentativo di compromesso storico con la DC, del terrorismo, delle stragi e dell’omicidio Moro”, dice l’articolo.
Gli anni sono effettivamente quelli, ma Berlinguer non è forse lo stesso. Il leader del PCI infatti se da un lato fu il principale interlocutore di Moro nella sua direzione verso quello che prese appunto il nome di Compromesso storico, dall’altro fu pure fin da subito fra i più saldi interpreti della linea della fermezza nel dialogo per la liberazione del “cavallo di razza democristiano”. Dopo anni di dialoghi con l’unico esponente interessato a una legittimazione del PCI in ambito atlantico, fu tra i primi a scaricarlo, impostando una linea che serviva solo da politica interna nel marcare le distanze dalle BR, rivelatasi negli anni che seguirono strategicamente suicida, quando il PCI non ebbe più alcuna possibilità concreta di governare, trincerandosi all’opposizione in quella “cultura del no” che lo contraddistinse ipocritamente fino al 1991.
“[gli anni] del partito critico verso il PCUS e diretto verso una prospettiva di eurocomunismo, delle lotte sociali e per i diritti, della rottura con il PSI di Bettino Craxi”.
Che fosse critico verso il PCUS a parole è indubbio, come ebbe a dire nel discorso del 1977 a sessant’anni dalla Rivoluzione d’ottobre; il fatto però che il PCI continuasse a ricevere finanziamenti da Mosca lascia invece perplessi su quanto fosse lontano a fatti dagli interessi dell’URSS, come quando nel 1978 votò contro il ritorno dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo, o come quando intervenne contro gli euromissili, lasciando l’Europa alla mercè delle due superpotenze, coi razzi sovietici puntati contro e quelli americani troppo lontani per poter essere una difesa da ritenersi credibile, o ancora più in generale quando smise di vestire totalmente i panni del socialista progressista non appena Craxi tentò davvero di dare una chiave autonomista al PSI. E fu proprio contro Craxi e contro le lotte sociali e per i diritti che coniò alcuni suoi celebri mostri concettuali.
Mostri come l’AUSTERITÀ: ridurre i consumi dopo il 1980, in quel momento che è il primo di crescita e riduzione d’inflazione, dopo quel decennio di merda che furono gli anni ’70 in cui l’inflazione galoppava più di un cavallo dopato alle corse, è follia pura. Ma la mostruosità fu che ciò non accadde per ignoranza delle più semplici leggi economiche, ma per una scelta eticamente finta di prender le distanze dall’edonismo craxiano. Per ritagliarsi una posizione semplicemente propagandistica, fece pagare il danno –in termini di mancata occupazione e quindi di maggiore povertà- ai milioni d’Italiani.
Mostri come la MORALIZZAZIONE del paese. MORALIZZARE, che ricorda il “FARE CULTURA” fascista, o il “RIEDUCARE” orwelliano e sovietico. Moralizzazione contro le tangenti dal partito più sovvenzionato d’Italia. Oltre infatti ai soldi provenienti da Mosca, e come i più sanno anche dal sistema di cooperative, vanno aggiunti anche quelli del Banco Ambrosiano (diretti al quotidiano del PCI “Paese Sera”), dell’Eni. Insomma esattamente da quegli stessi canali che il PCI condannava negli altri partiti. Moralizzazione del paese, in quel paese in cui Monicelli nel 1975 dirigeva “Amici Miei”, mentre Berlinguer si lamentava della televisione a colori e incalzava per un ritorno al bianco e nero, che avrebbe evitato la decadenza dei costumi.
Vien da pensare quindi che l’ombra di Berlinguer sia molto più grande del personaggio che l’ha proiettata. Verso di lui si prova affetto per film (Bertolucci) e canzoni (Modena CR, Venditti, i CCCP), ma poco si ha da dire sulla sua figura politica. Figura tanto politicamente ininfluente, da consegnare anche al massimo storico di consenso del PCI il potere incondizionato a Giulio Andreotti, potere che verrà riconfermato quando, pochi mesi dopo la morte dello stesso Berlinguer, nell’84, il PCI per mano dell’allora capogruppo Giorgio Napolitano salverà il Divo dalla commissione parlamentare.
Eppure una figura, e su questo ha ragione l’articolo di Tra i Leoni, in grado di riempire la piazza al suo funerale. Come Wojtyla, come Elvis. Forse perché a conti fatti veniva davvero visto come quella “brava persona”, come ebbe a definirlo Gaber nella canzone “Qualcuno era comunista”. Un pessimo politico, un mediocre statista, un ininfluente leader di partito, ma una “brava persona”. Ma come avrebbe dovuto imparare da un ben più tecnico padre del comunismo, Gramsci, essere un buon politico ed essere una brava persona sono due cose totalmente diverse, e se la seconda dovrebbe gestire una ONLUS, è la prima che dovrebbe guidare un paese.
Andrea Inversini