Nel Partito democratico è in atto una vera e propria dicotomizzazione. Che, tuttavia, presenta alcuni spunti di riflessione comuni. L’idea di partito tanto cara a Veltroni rimane, a mio avviso, la più convincente e la più moderna. Al contrario, le recenti proposte di Bersani sanno piuttosto di minestra riscaldata. Ora, è vero che negli ultimi 16 anni la sinistra è riuscita a sconfiggere due volte Berlusconi seguendo il modello delle alleanze allargate, ma – e qui sta il suo fallimento – non si è mai dimostrata in grado di saper governare in maniera efficace e coesa. Troppi litigi, troppi strappi hanno caratterizzato i governi del centrosinistra. Con la nascita del Partito democratico si è cercato di ovviare questo problema. Ma Veltroni – e qui sta il suo fallimento personale – aprendo la stagione del dialogo dopo la sconfitta elettorale, percorso quanto mai insidioso, non è mai riuscito a incalzare l’esecutivo sui temi più scottanti. Anzi, il governo ombra è finito per trasformarsi nell’ombra di se stesso. Di qui il pesante calo del Partito democratico che Veltroni fatica a riconoscere, in parte, anche suo. Nel frattempo, superate le vicissitudini che hanno portato alla segreteria Bersani, l’unico scopo dell’opposizione è stato quello di richiamare l’attenzione sul “berlusconismo” e sulla deriva autoritaria. Se ne può parlare, certo. Ma giocare tutto (o quasi) su questo argomento significa avviare strategie di breve periodo (confidando nel definitivo logoramento all’interno del centrodestra e proponendo esecutivi alternativi o alleanze improbabili) e nulla più. C’è un aspetto che accomuna il documento veltroniano alla politica bersaniana. Sebbene i presupposti siano diametralmente opposti, viene spiegato il cosa fare ma non il come. Sarebbe il caso, invece, che qualcuno inizi a indicare una via.
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Nel Partito democratico è in atto una vera e propria dicotomizzazione. Che, tuttavia, presenta alcuni spunti di riflessione comuni. L’idea di partito tanto cara a Veltroni rimane, a mio avviso, la più convincente e la più moderna. Al contrario, le recenti proposte di Bersani sanno piuttosto di minestra riscaldata. Ora, è vero che negli ultimi 16 anni la sinistra è riuscita a sconfiggere due volte Berlusconi seguendo il modello delle alleanze allargate, ma – e qui sta il suo fallimento – non si è mai dimostrata in grado di saper governare in maniera efficace e coesa. Troppi litigi, troppi strappi hanno caratterizzato i governi del centrosinistra. Con la nascita del Partito democratico si è cercato di ovviare questo problema. Ma Veltroni – e qui sta il suo fallimento personale – aprendo la stagione del dialogo dopo la sconfitta elettorale, percorso quanto mai insidioso, non è mai riuscito a incalzare l’esecutivo sui temi più scottanti. Anzi, il governo ombra è finito per trasformarsi nell’ombra di se stesso. Di qui il pesante calo del Partito democratico che Veltroni fatica a riconoscere, in parte, anche suo. Nel frattempo, superate le vicissitudini che hanno portato alla segreteria Bersani, l’unico scopo dell’opposizione è stato quello di richiamare l’attenzione sul “berlusconismo” e sulla deriva autoritaria. Se ne può parlare, certo. Ma giocare tutto (o quasi) su questo argomento significa avviare strategie di breve periodo (confidando nel definitivo logoramento all’interno del centrodestra e proponendo esecutivi alternativi o alleanze improbabili) e nulla più. C’è un aspetto che accomuna il documento veltroniano alla politica bersaniana. Sebbene i presupposti siano diametralmente opposti, viene spiegato il cosa fare ma non il come. Sarebbe il caso, invece, che qualcuno inizi a indicare una via.
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