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Quale deve essere lo stipendio di un antropologo?

Creato il 28 agosto 2011 da Lupo @morenotiziani
calcolo stipendio antropologo

Una lettrice di Professione Antropologo mi ha chiesto quale potrebbe essere l’onorario di un antropologo freelance. Anche se si tratta di un argomento poco “antropologico” è un aspetto legato al mestiere di antropologo che è bene considerare, soprattutto se si decide di iniziare a svolgere consulenze in proprio.

Da un certo punto di vista, si può dire che questo post è un ampliamento del capitolo del libro C’è lavoro per gli antropologi?

Prenderò il discorso un po’ alla larga, cercando di delineare un quadro più ampio che includa non solo il calcolo dello stipendio, ma anche alcune riflessioni che possono aiutare nello stabilirlo.

Tralascio per ora l’aspetto, comunque fondamentale, per cui ogni antropologo dovrebbe dedicare a progettare la sua attività: in che campo fare consulenze? A che tipo di clienti mi rivolgo? Quali strumenti utilizzare per farmi pubblicità? Queste sono alcune domande che rientrano nel cosiddetto “business plan” (cioè il “progetto d’impresa”), ovvero la stesura degli obiettivi e le strategie di un’azienda (anche individuale) nell’ottica di vendere un prodotto.

Alla base di tutto bisogna porsi una domanda che in apparenza sembra semplice: siamo portati alla vendita? Qualcuno risponderà che l’antropologo non vende nulla. Vero, da un certo punto di vista. In realtà, vendiamo il nostro sapere e la nostra capacità di risolvere determinati problemi. Due articoli che, soprattutto in Italia, sono spesso svalutati.

Dunque siamo portati alla vendita? Immaginiamo di trovarci davanti a un possibile cliente, che vi presenta un problema specifico. Questo cliente non è certo piovuto dal cielo, ma parleremo magari un’altra volta di come lo abbiamo trovato.

L’importante qui è guardarsi allo specchio e capire se potremmo essere in grado di affrontare un progetto da soli (dal primo colloquio alla sua realizzazione, passando per i problemi/opportuntà nel concepirlo e farlo crescere) oppure se è il caso di associarsi a qualche realtà già avviata. Parlo di contattare associazioni, enti e aziende, non certo di rivolgersi a un agente che vi rappresenti (ebbene sì, succede anche questo…).

Per inciso, mi è capitato spesso di osservare un atteggiamento che produce risultati disastrosi: l’antropologo, davanti al cliente/curioso, non fa che commentare il problema (magari affondandolo nella storia dell’antropologia e in comparazioni interessantissime, ma poco pratiche) senza proporre una via verso la soluzione. Attenzione, non una soluzione, ma un percorso per raggiungerla.

La differenza è importante: offrire subito la soluzione significa regalare la propria esperienza senza avere nulla in cambio e, anzi, confondere il cliente e allontanarlo. Accennare una via significa invece mostrare di possedere le conoscenze che il cliente cerca e quelle che invece non gli servono, senza sbilanciarsi. In sintesi, è come mostrare una bozza di lavoro e non il lavoro finito.

Al cliente, infatti, non interessa come arriviamo alla soluzione, ma che ci arriviamo.

Veniamo dunque alla parte più “pratica” di questo post, ovvero come calcolare il nostro onorario. Prendo spunto da un post del giornalista Dario Banfi, sul cui sito è possibile vedere un esempio applicativo di questo metodo di calcolo.

Primo passo. Definiamo il reddito lordo che vogliamo raggiungere in un anno di lavoro. Il reddito dipende dalla nostre aspirazioni, ma anche dal regime fiscale che abbiamo adottato (ad esempio, se siamo nel cosiddetto regime dei minimi, il tetto massimo di 30000 euro lordi è praticamente obbligatorio).

Secondo passo. Calcoliamo le ore di lavoro in un anno. Se consideriamo una giornata di 8 ore di lavoro e 21 giorni feriali al mese, avremo 168 ore. Da questo calcolo però vanno escluse le ore da dedicare alla burocrazia della nostra azienda inviduale. Infatti, anche se ci appoggiamo a un commercialista, un minimo di tempo alle “scartoffie” dovremo per forza dedicarlo. Ma ancora, dobbiamo escludere il tempo dedicato alla promozione dei nostri servizi, ai viaggi e alla formazione personale. Secondo Banfi, il monte ore da dedicare a queste attività è di circa il 40%, ma ognuno dovrà valutare la propria situazione. Dobbiamo anche togliere le ore dedicate a eventuali imprevisti, malattie e meritate ferie (una ventina di giorni circa).

Terzo passo. Dividiamo il reddito lordo annuale per il numero di ore lavorative annuali calcolate, ottenendo così il costo orario lordo.

Quarto passo. Calcoliamo l’ammortamento dei costi di attività, cioè tutte quelle spese non rimborsate dai clienti e che sono a nostro carico (carburante e commercialista, ad esempio). Ognuno deve valutare questo aspetto da sè: per dire, chi ha in programma di viaggiare molto per lavoro avrà sicuramente più spese di chi ha deciso di operare quasi esclusivamente sul territorio. Tuttavia, una percentuale che va dal 20 al 40% dovrebbe essere corretta nella maggior parte dei casi, a meno di non voler puntare su redditi maggiori. Questa percentuale va calcolata sul reddito lordo desiderato.

Quinto passo. Aggiungiamo una percentuale di profitto, che a seconda dei casi si può aggirare attorno al 10-20%. Anche qui, la percentuale è calcolata sul reddito lordo desiderato.

Da notare che i calcoli si eseguono considerando sempre le cifre lorde. Le cifre nette si ottengono sottraendo le tasse da versare che, per arrotondamento e salvo aver scelto regimi fiscali particolari, possiamo considerare come il 50% degli introiti lordi.

Dobbiamo a questo punto considerare un paio di cose.

L’antropologo è una professione non ancora del tutto delineata, non vi è e non ci potrà mai essere un ordine professionale che può stabilire a priori le parcelle e i contributi da versare. Si tratta dunque di una professione ancora tutta da costruire. Difficile fare paragoni con altre professionalità, soprattutto a livello contabile. Ancora meno cercare di basarsi sulla retribuzione di un dipendente di qualsivoglia azienda.

Il costo orario è un’indicazione di massima per muoverci nel mondo del lavoro, soprattutto all’inizio della nostra carriera. Data la particolarità del mestiere di antropologo, però, è più facile che ci ritroveremo a negoziare ingaggi che riguardano interi progetti, dove spesso non faremo “solo” gli antropologi.

Anche qui dovremo valutare con cura i tempi e le modalità di realizzazione: quanto ci vorrà per raccogliere la bibliografia? Quanto tempo servirà per curare i contatti e cercare gli sponsor? Bisognerà coinvolgere altri antropologi? Dovremo servirci del lavoro di artigiani o altre figure professionali? Dovremo viaggiare molto? A seconda del progetto, sarà bene stilare una serie di voci da includere nel preventivo finale. E su come stilare le fasi di un progetto potremo fare un post a parte.

Capiterà anche di negoziare sull’onorario. Chiedere meno significa guadagnare meno, ma l’importante è che i costi non superino i ricavi e che negoziare al ribasso non si traduca in una perdita di immagine o di occasioni di crescita professionale.

Quest’ultimo punto è molto importante: la percezione che gli altri hanno di noi, dal punto di vista professionale, si basa anche sulle tariffe che applichiamo. Non a caso, se lavoriamo gratuitamente anche una sola volta (sempre che non ci sia una contropartita in altri beni, materiali e non), il cliente si aspetta che lavoreremo gratuitamente anche in seguito. E significa anche svalutare il proprio lavoro e la propria persona. Questo è un principio generale: vi siete mai chiesti perchè un museo a entrata gratuita è percepito come “meno importante” di uno a pagamento?

Quindi, a parte casi particolari, non dovremmo mai ridurre le nostre tariffe. Anzi, a dire il vero dovremo cercare di aumentarle in una certa msura per stare al passo del costo della vita.

Jamie Wieck - 50 regole d'oro del creativo

Infine teniamo presente che tanti chiedono, pochi pagano. Dobbiamo cercare di farci pagare sin dal primo incontro. In questo modo avremo meno commissioni, è vero, ma non dovremo confrontarci con chi ci farà solo perdere tempo. Perchè anche solo pensare le linee guida di un progetto porta via tempo ed energie.

Chiudo segnalando una carrellata di 50 massime pensate per i creativi dal designer Jamie Wieck, sulla scorta delle sue esperienze personali, ma che sono applicabili anche agli antropologi (su Wired la traduzione in italiano). L’immagine stilizzata che compare poco sopra è proprio di Wieck.

Sarebbe bello che ognuno portasse la propria esperienza e il proprio giudizio su questo tema, che è un aspetto delicato di una professione emergente: cosa ne pensate?


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