Premessa: non so leggere la poesia. Nel senso che non ne capisco niente, e me ne rendo conto. Però questi versi –scoperti per puro caso, mentre cercavo ben altro in rete- mi hanno attraversata come lame. Puliti, duri. Affilati.
Casa. Home.
Casa è il titolo del poema scritto e recitato da Warsan Shire, giovane poetessa somala che vive a Londra dove i suoi si sono rifugiati per sfuggire alla guerra civile che ad oggi ha causato in Somalia più di mezzo milione di morti e decine di migliaia di emigrati.
Questi versi sono una risposta, non solo ai “salvini” (il minuscolo è voluto) della situazione, ma anche alle nostre domande non formulate, quelle di noi bendisposti, di noi tolleranti, di noi “accoglienti”.
Casa: io, voi, noi lasceremmo la nostra, mettendo la vita dei nostri figli nelle mani di un contrabbandiere di esseri umani, su onde nemiche per affrontare l’incognito? Casa. Viene un groppo in gola solo al pensiero, solo a scrivere la parola. Casa.
P.S. non so se le poesie di Warsan Shire siano state pubblicate in Italia, non trovo notizie in merito. Se ne avete, vi ringrazio in anticipo.
HOME
Nessuno lascia la propria casa a meno che
casa sua non siano le mandibole di uno squalo
verso il confine ci corri soltanto
quando vedi tutta la città correre
i tuoi vicini che corrono più veloci di te
il fiato insanguinato nelle loro gole
il tuo ex-compagno di classe
che ti ha baciato fino a farti girare la testa dietro alla fabbrica di lattine
ora tiene nella mano una pistola più grande del suo corpo
lasci casa tua
quando è proprio lei a non permetterti più di starci.
Nessuno lascia casa sua a meno che non sia proprio lei a scacciarlo
fuoco sotto ai piedi
sangue che ti bolle nella pancia
non avresti mai pensato di farlo
fin quando la lama non ti marchia di minacce incandescenti il collo
e nonostante tutto continui a portare l’inno nazionale
sotto il respiro
soltanto dopo aver strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto
singhiozzando ad ogni boccone di carta
ti è risultato chiaro il fatto che non ci saresti più tornata.
Dovete capire
che nessuno mette i suoi figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
nessuno va a bruciarsi i palmi sotto ai treni sotto i vagoni
nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion
nutrendosi di giornali a meno che le miglia percorse
non significhino più di un qualsiasi viaggio.
Nessuno striscia sotto ai recinti
nessuno vuole essere picchiato, commiserato
nessuno se li sceglie i campi profughi
o le perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo pieno di dolori o il carcere,
perché il carcere è più sicuro
di una città che arde
e un secondino, nella notte,
è meglio di un carico di uomini che assomigliano a tuo padre.
Nessuno ce la può fare
nessuno lo può sopportare
nessuna pelle può resistere a tanto
Gli
“Andatevene a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani aperte
hanno un odore strano
selvaggio
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro”
le parole
gli sguardi storti
come fai a scrollarteli di dosso?
Forse perché il colpo è meno duro
che un arto divelto
o le parole sono più tenere
che quattordici uomini tra
le cosce
o gli insulti sono più facili
da mandare giù
che le macerie
che le ossa
che il corpo di tuo figlio
fatto a pezzi.
A casa ci voglio tornare,
ma casa mia sono le mandibole di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e a nessuno verrebbe di lasciare la propria casa
a meno che non sia stata lei a inseguirti fino all’ultima sponda
a meno che casa tua non ti abbia detto
affretta il passo, lasciati i panni dietro
striscia nel deserto, sguazza negli oceani
annega, salvati, fatti fame
chiedi l’elemosina
dimentica la tua dignità
la tua sopravvivenza è più importante
Nessuno lascia casa sua se non quando essa diventa una voce sudaticcia
che ti mormora nell’orecchio
Vattene,
scappatene da me adesso