QUALUNQUEMENTE (Italia 2011)
Certi film si devono andare a vedere. Per riconoscersi nelle persone che vanno a vederli. Stessa generazione, e allora ci si spinge a vedere persino Transformers e si condivide l’amore per un beniamino che può essere Checco Zalone, AldoGiovanni&Giacomo o Antonio Albanese.
Per quanto riguarda quest’ultimo, apprezzato anche come attore drammatico, la sua comicità è televisiva, dunque molto fisica e legata allo sketch. Uno dei motivi, però, o forse “il” motivo per cui molti vanno a vedere Qualunquemente, è che il personaggio di Cetto Laqualunque è più vero del vero, ha fatto venire un brivido lungo la schiena quando ha parlato a Roberto Saviano a Vieni via con me e racconta un certo modo di intendere la politica e le donne che, pur stravolto dal grottesco, è riconducibile a molti personaggi politici italiani: non ha mai fatto mistero, Albanese, d’essersi ispirato a un vero politico locale del Sud per il suo personaggio. E poi si tratta di un’opera indubbiamente divertente.
Qualunquemente, però, è il film che si potrebbe definire “delle occasioni mancate”. Vedendo il personaggio nei suoi sketch ognuno di noi ha immaginato un possibile “contesto”, fittizio ma di cui lo stesso Cetto dà puntuali e coerenti indizi: il suo amore per il “pilu”, il malaffare portato avanti con noncuranza (nelle prime apparizioni Cetto portava al polso delle manette), l’atteggiamento mafioso e ignorante… Tutti elementi che rendono Laqualunque un personaggio vero. Per un film, però, ci vorrebbe uno scatto in più. Il contesto suggerito, una volta rappresentato in immagini, dovrebbe raccontare qualcosa d’altro, diventare film. Questa è la prima occasione mancata di Qualunquemente: lo spettatore si aspetta la casa pacchiana, le molte donne discinte, l’abusivismo e si aspetta allo stesso modo che arrivi altro di inaspettato, una svolta. Perché non approfittare per fare un ritratto della Calabria o del Sud Italia? Anche la sola presentazione turistica dei paesaggi sarebbe stata ben accetta. Perché non sporcarsi un po’ di più e fare riferimenti reali alle vicende della ‘ndrangheta o agli eroi positivi che pure ci sono? Perché non compaiono mai storie di disoccupazione, di giovani o di immigrati clandestini? Il protagonista è più vero del vero, d’accordo, ma allora perché non calarlo in una realtà con reali agganci a ciò che tutti noi conosciamo? Anche la parabola politica di Cetto viene fatta andare su binari prevedibili e attesi.
Pare che il film non voglia tradire il pubblico televisivo rimanendo sulla superficie delle questioni, eppure in questo modo il pubblico è tradito perché viene insultata la sua intelligenza. Va riconosciuto che la storia è stata confezionata con una certa attenzione: il rischio principale del film era quello di creare un pretesto per un collage di sketch, come spesso avviene in casi di questo tipo, ma la trappola è stata evitata con intelligenza. Lo sketch di Cetto Laqualunque è un comizio, metafora del nuovo linguaggio politico perennemente in campagna elettorale e non si sarebbe potuto fare, in maniera credibile, un film di soli comizi e i monologhi di Laqualunque vengono interrotti al momento giusto. Ma anche qui si tratta di un’occasione mancata: la moglie, il figlio, i “compari”, i figuri della mala sono personaggi di contorno che non reggono la sponda a quello principale, arrivando all’apoteosi negativa del guru della politica interpretato da Sergio Rubini, completamente fuori ruolo.
Ma il peccato maggiore di questo film, elemento che in parte racchiude quanto detto finora, è la mancanza di una vera cattiveria. Anche in questo caso pare essere sperimentata, all’inizio, ma poi si perde. A un certo punto la macchina del rivale De Santis viene fatta saltare in aria, in una bella scena che fa pensare, finalmente, che il film stia prendendo quota. Ma così non è, e a poco servono momenti come il figlio mandato in galera al posto del padre e il finale, in cui Cetto vince ed elude la giustizia a discapito della moglie immigrata. La terza e finale occasione mancata: poteva essere un bel film di denuncia come nella tradizione italiana, ma non lo diventa mai.
Marcello Ferrara
Post scriptum: consiglio a tutti di leggere, su Internazionale n. 883, l’ottima analisi di Qualunquemente scritta dalla corrispondente del Financial Times.