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Dopo quattro anni di latitanza in Sud America utili a evitare il carcere per bancarotta fraudolenta, falsa fatturazione e riciclaggio, Cetto La Qualunque (Antonio Albanese) fa ritorno a Marina di Sopra, il paese natio calabrese dal nome malizioso. La ‘ndrangheta lo considera l’uomo ideale per impedire la vittoria alle prossime elezioni comunali di Giovanni De Santis (Salvatore Cantalupo), candidato che si propone come paladino della legalità. Fattosi convincere a entrare in politica per difendere le proprie attività commerciali abusive e il diritto ad evadere le tasse, Cetto tuttavia si trova presto costretto a ingaggiare un noto spin doctor (Sergio Rubini) al fine di avere la meglio sul moralmente integro avversario politico, in netto vantaggio nei sondaggi.
I dubbi sulla riuscita della trasposizione cinematografica di uno dei personaggi più significativi partoriti dal talento comico di Albanese potevano essere molti. D’altronde, non era affatto semplice restituire in tutta la sua originaria irriverenza Cetto La Qualunque, divenuto celebre in televisione attraverso la forma dello sketch breve, nel contesto di una storia pensata per il grande schermo e che avrebbe dovuto necessariamente possedere una propria forza e coesione interna. Evitando con abilità il pericolo di mettere in scena una mera sommatoria di gag a sé stanti, però, Qualunquemente riesce nella sfida di amalgamare le singole trovate comiche all’interno di una narrazione godibile e ben costruita, dando vita al contempo a una serie di personaggi di contorno particolarmente riusciti che si rivelano fondamentali per lo sviluppo delle vicende diegetiche.
A rendere il film interessante è inoltre l’aura malinconica e disincantata che costantemente accompagna lo svolgersi delle vicende, nonché lo sviluppo dei rapporti tra i vari personaggi. L’immagine dell’ignoranza e della decadenza di ogni tipo di morale nella politica e nella società italiane, incarnata in maniera così efficace dal protagonista, a tratti appare a tal punto vicina alle pratiche quotidiane che la pellicola spinge lo spettatore, ancor prima che al riso, a riflessioni dal retrogusto amaro. Al film, per di più, giova senz’altro la presenza dietro la macchina da presa di Giulio Manfredonia (il regista di Si può fare), il quale garantisce una cura per la messa in scena che va ben oltre la media dei prodotti nazional-popolari cui generalmente si è abituati. Qualunquemente può dunque considerarsi una sfida vinta in primis da Antonio Albanese (sceneggiatore in coppia con Piero Guerrera, oltre che ottimo interprete), senza trascurare il contributo decisivo dello stesso Manfredonia, anch’egli partecipe della fase di scrittura del film. Grande successo di pubblico con i suoi quasi 16 milioni di euro di incassi, la pellicola venne accolta positivamente dalla critica italiana e straniera quando nel 2011 fu presentata nella sezione “Panorama” del Festival di Berlino. Articolo precedentemente pubblicato nel numero 8 dei «Quaderni del CSCI» - rivista annuale di cinema italiano (2012)
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