Era una notte milanese quasi senza data quella in cui incontrai un uomo arguto e saporito che tutti chiamavano “Il Principe”. Un uomo che la sa lunghissima, tanto che del Principe (posso dire) esattamente per questo ha proprio poco.
Poche parole e molte sigarette, carne di cervo e il Naviglio, bastarono per fargli dire che Elena Torresani era una donna sazia.
Tra tutti gli aggettivi per una donna, “sazia” rappresenta un traguardo raggiunto ma un fascino mancato.
Magari sbiadito.
Perché una persona sazia, soprattutto se lo è narrativamente, non insegue più le albe.
La sazietà è uno stato di grazia. Con una corda al collo e uno scranno sotto i piedi.
Esistono altri terribili pericoli che la sazietà porta con sé: uno dei peggiori è la noncuranza.
Quella che riconosco negli uomini amati, che non prestano attenzione all’azzardo, dei gesti e delle parole, e talvolta all’arroganza.
Quella che vedo nelle donne amate, che affilano i giudizi verso ciò che pensano non riguardarle mentre dimenticano di buttare l’occhio nel lato B del loro talamo nuziale.
Perché la felicità è una questione di dettagli di cui prendersi cura, perché spesso scivola da sotto il culo come un cellophane unto di vaselina mentre noi ci stiamo occupando di massimi sistemi.
Perché la felicità richiede umiltà.
Talvolta scaramanzia.
Non abbassate la guardia contro la noncuranza, quella ricevuta e quella dispensata, perché dietro la porta potreste non trovare – ad aspettarvi – una torta di mele calda infornata per voi.
Magazine Per Lei
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