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Quando andavo a scuola io... queste cose mica c'erano

Da Massimo Silvano Galli @msgdixit
Quando andavo a scuola io... queste cose mica c'eranoQuante volte mi è capitato di udire questa frase. Da genitori, insegnanti o anche solo conoscenti, alla ricerca di una spiegazione che potesse giustificare l'overdose di bambini con una diagnosi di disturbo specifico dell'apprendimento.
Ragazzini che si trovano ad aver bisogno della logopedista, mestiere da sempre confinato entro il limite della correzione della "erre moscia".
Genitori che stentano a capire come questa figura possa quindi aiutare i loro figli a leggere, scrivere, studiare.
Nostro obiettivo non è tanto indagare l'origine di questi disturbi o le motivazioni dell'elevato numero di diagnosi, piuttosto cercare di capire come aiutare i bambini. In questo senso, è fondamentale il ruolo della scuola.
Molto spesso, purtroppo, mi è capitato di incontrare insegnanti attente e premurose, ma poco e/o male informate su quello che si può fare, su ciò che si deve fare, e su come questo possa essere fatto.
I genitori, travolti dalla valanga di parole spesso incomprensibili, da un iter diagnostico lungo e articolato, sono confusi e spesso spaventati. Memoria a breve termine, indagine anamnestica, reattivo mentale, disfunzione esecutiva: sono termini che devono essere spiegati nella delicata fase di valutazione. "Eppure non ha mai avuto problemi...il pediatra non ha mai notato nulla".
Confusione, paura, diffidenza: sono queste le emozioni che si leggono negli occhi dei genitori e dei loro figli la prima volta che arrivano in studio. E' essenziale spiegare serenamente al bambino che mamma e papà lo hanno portato lì per aiutarlo a superare alcune difficoltà.
Nel corso degli anni ho capito l'importanza di andare oltre ai sintomi, oltre alla diagnosi, accogliendo i ragazzini in tutta la loro complessità, ascoltando i loro sogni, le loro paure, cercando, spesso, di aiutarli a riconoscere e verbalizzare le loro emozioni. Ragazzini che reagiscono piangendo davanti a un brutto voto, sentendosi per questo inadeguati, non accettando i propri limiti, nel confronto con i genitori. D'altra parte, quando mamma e papà andavano a scuola, queste cose non c'erano. Dicono. 
Questa è la storia di G., ma anche quella di M. E di A. E di C.
Decine di storie, molto diverse fra sé, ma con lo stesso denominatore comune: la fatica ad accettare una diagnosi e le sue conseguenze. Compito del logopedista è quello di accompagnare la famiglia nel mondo della dislessia, di dare al bambino gli strumenti per affrontare serenamente la scuola, insegnandogli ad usarli.Ma, soprattutto, cercare di far uscire i genitori dalla trappola del "quando andavo io a scuola".
Il confronto, sbattuto in faccia ai figli, può essere molto pericoloso.
Cecilia Brogi

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