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Quando Andreotti disse: “Non è morto nessuno”

Creato il 09 maggio 2013 da Casarrubea
Andreotti e Moro

Andreotti e Moro

Il colloquio tra i morti sono i vivi a farlo, quando i vivi non sono anch’essi morti. E Giulio Andreotti, spia di De Gasperi al tempo in cui Felix Morlion, capo della Pro Deo, lo pose nelle segrete stanze del potere, alla metà degli anni Quaranta del Novecento, fu certamente un giovane di grandi prospettive quando il dialogo tra lui e i morti fu avviato.

Era il 31 maggio del 1947, il giorno in cui il premier, aveva sbarcato i comunisti dal governo. Un giorno che chiudeva quel mese mariano iniziato con una strage di donne e bambini a Portella della Ginestra, in mezzo alle jnestre e ai papaveri dove il medico anarchico di Piana degli Albanesi, Nicolò Barbato, aveva convocato per la prima volta (1893) i lavoratori di quei feudi, per parlare di giustizia e libertà. A quell’epoca Andreotti era già un’autorità e anche il Vaticano lo teneva in grande considerazione forte del bisogno che la Santa Sede aveva di tenere a bada i comunisti perché non arrivassero, come orde vandaliche, a piazza San Pietro. Il nuovo corso del giovane Andreotti era cominciato, appunto, con il viaggio di De Gasperi in America, con il grande rilievo dato all’evento dall’Osservatore romano e col fatto che Truman si occupava a modo suo dell’Italia. Nessuno aveva detto che la partenza di De Gasperi per gli Usa, aveva avuto a gennaio di quell’anno un forte significato politico, non solo per i legami che avrebbero unito sempre più l’Italia agli Stati Uniti, ma anche per il segnale che gli stessi legami avevano lanciato il 4 gennaio di quell’anno a tutta la sinistra italiana con l’assassinio del dirigente sindacale di Sciacca, Accursio Miraglia. L’incipit di un anno di piombo. A marzo le forze dell’ordine avevano sparato su una folla di braccianti in sciopero a Messina e avevano ucciso tre capilega. Verso la fine di aprile 1947, a Montecitorio, si era registrata una certa tensione tra i deputati durante la commemorazione del decennale della morte di Antonio Gramsci, e il 1° maggio successivo, i terroristi neri, passati al soldo degli Usa, avevano sparato con armi da guerra e granate contro i lavoratori in festa radunatisi a Portella della Ginestra, uccidendo donne, bambini e altri lavoratori.

Ed ecco il diabolico Andreotti farsi avanti: Come mai  – scrive nel suo “1947. L’anno delle grandi svolte” – “essendo la festa provinciale del lavoro nessuno dei deputati comunisti era presente?” E subito dopo: “Ho chiesto a Scelba. Non crede che comunisti e socialisti c’entrino, ma qualche amico ha scoraggiato loro di restare a casa”. Un politico più diabolico e cinico di così sarebbe stato difficile trovarlo in quegli anni. Ma qui c’era tutta la personalità oscura di questo statista. All’epoca Andreotti era già capo del Servizio ultrasegreto chiamato “Anello”, e la sua principale mansione era la lotta contro il comunismo organizzata nelle segrete stanze del potere. Andreotti parlava direttamente con De Gasperi, e per cose più frivole con JK12, un double agent degli Usa. Non era certo uno che apprendeva i fatti dai giornali. Una prova sono gli assalti contro le Camere del lavoro della provincia di Palermo del 22 giugno di quell’anno, quando si verificano nuove stragi, dopo quella del primo maggio. State attenti alle date: il 22 giugno è una domenica. L’indomani nessun giornale riporta la notizia anche perché gli assalti avvengono in tarda serata e nella notte. Ma Andreotti di buon mattino il 23 annota nel suo diario: “Bombe contro le sedi dei partiti di sinistra a Partinico. Di notte e senza vittime”. C’erano stati due morti e decine di feriti, alcuni anche molto gravi. Come poteva scrivere il “delfino” di De Gasperi che non c’erano state vittime? Evidentemente sapeva di mentire. Mentiva e minimizzava, perché a quei tempi, per certi uomini della Democrazia Cristiana, similmente ai monarchice ai terroristi neri, ammazzare un comunista, era come tirare al piccione.

Giuseppe Casarrubea


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