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Quando Bonaparte ci mette la coda

Creato il 27 gennaio 2012 da Zfrantziscu

Come il diavolo spesso si nasconde nei dettagli, così la battaglia contro “i costi della politica” nasconde a volte la piaga dello statalismo accentratore. Da ormai vecchio sardista, personalmente sono stato sempre contrario alle province in quanto sede di prefetture, di occhi e orecchie, cioè, del centralismo bonapartista. La loro abolizione sarebbe salutare sia per dare alla Repubblica un assetto più rispettoso delle autonomie, per non parlare del federalismo sia per risparmiare denari pubblici. Avete mai letto o sentito gli abolitori delle province parlare di abolizione delle prefetture? Eppure anche queste costano. Un prefetto (dati del 2009) guadagna da 10 mila a 11 mila e cinquecento euro al mese, quanto o più di un presidente di Regione; un viceprefetto porta a casa da 83 mila a 94 mila euro all'anno, molto più di un consigliere regionale dell'Emilia Romagna; e poi ci sono i viceprefetti aggiunti, i consiglieri, i funzionari. Chi sa quanto risparmierebbe lo Stato rinunciando alle sue nostalgie napoleoniche? Ecco perché provo un gran senso di nausea quando leggo le indignate invocazioni alla abolizione delle province (che comunque rappresentano un momento della vita democratica) e sento silenzio assoluto sull'abolizione delle prefetture che tutto potranno essere, tranne un momento di democrazia ed espressione di autonomia. È lo stesso fastidio che provo spesso leggendo le sparate “anti-casta” dei professionisti della caccia alla Casta, quali sono Rizzo e Stella, pur riconoscendo ai due giornalisti il merito di aver sollevato lo scandalo degli iperemolumenti e dei privilegi dei ceti politici. Oggi un articolo di Sergio Rizzo ha per titolo “Stipendi record: la giungla delle regioni”. Ecco che la lingua batte sul dolor di denti. La giungla delle regioni. Chi sa se scriverebbe mai un articolo sulla “giungla degli stati Usa” per esempio, dove esistono stati che comminano la pena di morte e altri no, dove la polizia di uno stato non può violare il proprio confine. Eppure, uno stato come il New Hampshire (un milione e trecento mila abitanti) mica è più importante della Sardegna solo perché quello è uno stato e la nostra una regione speciale. È la parola Stato che fa genuflettere, o che altro? Solo una irresistibile voglia di accentramento può far pensare ad un livellamento (a quale altezza poi?) degli stipendi di governatori e parlamentari regionali per iniziativa esterna alle regioni. “Ha senso che un consigliere regionale dell'Emilia Romagna abbia un appannaggio pari alla metà di quello del consigliere della Sardegna?” si chiede l'indignato. Ed è implicita la risposta. Che, immagino, non sarà: “No, non ha senso: il consigliere emiliano deve guadagnare quanto il sardo”. Scherzo. Ma Rizzo non scherza, quando scrive che “nelle Regioni italiane, l'autonomia ha avuto risvolti insensati, dando vita ad una giungla di privilegi e retribuzioni nella quale sarebbe opportuno mettere finalmente un po' d'ordine”. Ah i vecchi, bei tempi brezneviani, quando gli stati del Patto di Varsavia godevano di autonomia ma, vivaddio, limitata e responsabile. Quella è l'autonomia sognata. Certo, soprattutto in tempi di magra come quelli che viviamo, sarebbe “opportuno” che si tendesse a risparmiare, abolendo le prefetture, per esempio, e diminuendo gli emolumenti dei parlamentari, regionali e statali. Ma il giorno che sapessimo che il Governo o il Parlamento italiani volessero metter becco nelle questioni del Governo e del Parlamento sardi, non ci sarebbe da mettersi sa berrita a tortu?

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