Quanto tempo è passato?
Quindici giorni. O un mese. Un anno.
Il tempo è una cosa che percepiamo di più in noi stessi che sull’orologio. Il tempo leviga la mancanza. Ma lo fa in un modo suo: le fa prendere una forma come di un sasso che ha conosciuto la carezza dell’acqua. E’ rotondo, non ha spigoli ma pesa. Pesa da qualche parte, ogni tanto. Ci ripensi e lo senti fermo lì.
E quando c’è silenzio ritorna tutto come un flusso incostante. Le cose belle. Le cose brutte. Le cose così così che sai che ti fanno crescere ma hanno il sapore amaro delle delusioni che si devono mandare giù.
Forse non importa se mercoledì Tom Dumoulin ha corso il campionato del Mondo a cronometro e se domenica correrà quello in linea con la nazionale Olandese. Il suo sasso è ancora lì. L’ultimo giorno della Vuelta, il suo ultimo giorno in maglia. Un sasso pieno e senza spigoli e tutto attorno l’acqua delle cose che sono state che mitiga quella durezza.
La maglia rossa se l’era ripresa in uno dei suoi giorni, quello della cronometro. Una boccata d’ossigeno, un breve respiro dopo le montagne. A volte è più facile combattere contro sé stessi, costringersi a superare il limite. Un ciclista è abituato ad ascoltarsi, si conosce meglio di chiunque altro. A Burgos aveva viaggiato a cinquanta chilometri di media. Sul filo del vento per riprendersi quel sogno che non si aspettava ma che aveva cominciato a volere sempre più forte. Perché quando sai di potercela fare, allora ti senti invincibile. Finisce che lo diventi davvero.
Persino sulle arcigne montagne spagnole arroventate dal sole. Ogni giorno a controllare gli attacchi, a resistere e a rispondere. Perché quando hai la maglia, hai doppio coraggio e doppia paura allo stesso tempo.
I giorni non riusciranno a levigare quella sensazione, di avere tutto in pugno, di essere ad un passo dal sogno e pregare che il momento nero non arrivi. Il ciclismo ti insegna a non abbassare la guardia mai. Ti frega o ti premia all’ultimo, come la vita.
Quando c’è silenzio ritorna tutto, separi i momenti, li rivivi in un modo nuovo. Nuove lacrime taciute, nuove lezioni che hai scoperto di aver imparato.
Perde la maglia.
Perde il podio.
Le gambe che si svuotano non hanno un perché. La pressione, la stanchezza, la sfortuna. O niente. Solo che tre settimane a reggere un sogno sono pesanti più che mai.
C’è solo la delusione.
Anche le parole sono fantasmi che tornano a volte. Da vincente a perdente in quaranta chilometri. E’ un bel salto al quale il ciclismo abitua i suoi ragazzi. Mai abbastanza.
Non penso al futuro. Non penso a niente.
Quando c’è silenzio la mancanza di quei chilometri si sente di più. D’improvviso. Anche adesso che i giorni sono passati e sembrano già scivolati via. Perché siamo abituati a esaltare e a dimenticare in fretta. Tutte le storie scorrono accanto a quelle dei vincenti, passano per fare posto ad altre. Sono come i giornali. Valgono un giorno. Valgono l’euro della nostra lettura frettolosa davanti a un caffè la mattina prima di andare al lavoro.
Si scoprono per davvero solo quando tutti stanno già leggendo altro. In pochi sanno che le vittorie ripartono da lì. Dallo zero. Quando al buio di te stesso senti quello che ti è mancato e sai che basterà davvero poco per riprenderselo.
Ci sono giorni predestinati che aspettano chi non ha mai smesso di stringere i denti. E nessuna crisi, nessun vuoto, li annullerà.