Era il 2005 ma sembra passato un secolo da quando i principali quotidiani del Paese – quelli letti da gente colta e perbene, mica da talebani cattolici – spiegavano che coloro che avrebbero disertato il referendum sulla Legge 40/2004 e, più in generale, gli studiosi (Angelo Vescovi, Bruno Dallapiccola e tanti altri) che ritenevano superflua e infruttuosa – oltre che eticamente discutibilissima – la ricerca sulle cellule staminali embrionali in favore di quella sulle staminali adulte, erano nel torto. Torto marcio.
L’equilibratissimo Corriere della Sera, per dire, all’indomani dell’indizione del referendum si schierò subito – neanche il tempo di ragionarci su, di riflettere, di berci sopra un caffè – a favore del “Sì”. In prima pagina, of course: «Il nostro è un sì soprattutto in difesa della libertà di ricerca scientifica (che altrimenti subirebbe gravi limitazioni con l’impossibilità di mettere a punto cure per malattie come Alzheimer, Parkinson, sclerosi, diabete)» (Corriere della Sera, 14/1/2005). E le staminali adulte? Quella non era una frontiera di ricerca? No, zero. Neanche un accenno. Roba da cattolici preconciliari, avranno pensato in via Solferino.
Memorabili, poi, le sconfortate dichiarazioni riprese da Repubblica all’indomani del referendum che confermò l’impossibilità di ricercare sulle cellule staminali embrionali. Il padre della fecondazione in vitro italiana, il prof. Carlo Flamigni, si avventurò in cupi pronostici: «l’Italia sarà costretta ad acquistare i brevetti di ciò che altri hanno scoperto, perché messi in grado di ricercare e lavorare in questa direzione» (La Repubblica, 14/6/2005, p. 12). Umberto Veronesi, dal canto suo, non fu da meno: «Il limite principale sarà posto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, che rappresentano davvero una grande promessa della biomedicina» (La Repubblica, 15/6/2005, p. 8).
Oggi cosa succede? Succede che Shinya Yamanaka e John Gurdon, i principali studiosi sulle staminali adulte – o, meglio, coloro che hanno dimostrato che è possibile (come molti ipotizzavano, inascoltati, già nel 2005) “riprogrammare” le cellule staminali adulte fino a renderle paragonabili a quelle embrionali – ricevono il premio Nobel per la Medicina.
Nel frattempo lo studioso Hwang Woo-Suk, che Repubblica definì l’«eroe coreano» (la Repubblica, 14/6/2005, p. 12) e considerato la promessa mondiale per le cellule staminali embrionali, si è rivelato un totale imbroglione; nel frattempo non le parrocchie ma i più avanzati centri di ricerca – pensiamo, per dirne un paio, ai casi della californiana Geron biopharmecuetical e della Susan G. Komen for the Cure Foundation, la più importante fondazione contro il cancro al seno degli Stati Uniti – hanno abbandonato la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ritenute poco utili sul fronte terapeutico; nel frattempo Corriere e Repubblica, tanto per cambiare, debbono ancora scusarsi con quanti – giustamente – non diedero credito a quella che loro consideravano «una grande promessa della biomedicina». E invece era una bufala.