“Il rapporto della Camusso è terminato non con un grido di battaglia non con una sfida al governo, ma con la formulazione di un programma positivo per l’attuazione del quale la Cgil dichiara di essere pronta ad appoggiare il governo attuale….Spetta alla parte governativa di prendere in parola la confederazione…”. Sono parole comparse sul quotidiano “La Stampa”. Non sobbalzino però i colleghi di quel giornale. La citazione è vera e porta la firma di Luigi Salvatorelli. Il falso sta all’inizio: bisogna leggere invece del nome di Camusso quello di Di Vittorio. E la data non è quella del 26 gennaio 2012 bensì quella del 7 ottobre 1949. Il documento che testimonia come alcuni all’epoca non snobbarono le proposte Cgil, è tra quelli raccolti nella bella antologia dovuta a Fabrizio Loreto “Sul piano del lavoro Cgil” (Ediesse). E' un volume che permette di ripercorrere assonanze e dissonanze tra il “piano” di ieri e quello di oggi.
Era il 4 ottobre del 1949, quando Di Vittorio, illustrava al secondo Congresso della Cgil, la sua proposta. Eravamo nella fase della cosiddetta “guerra fredda”, con i comunisti e i socialisti cacciati dal governo, all’indomani della scissione sindacale, con le macerie che ancora connotavano i panorami urbani. Tra fabbriche in disarmo, licenziamenti, terre abbandonate dai latifondisti. Anche oggi la crisi morde, anche se la situazione non è certo paragonabile a quella vissuta negli anni seguiti alla fine della seconda guerra mondiale. E però anche oggi si tratta di ricostruire sia pur su basi nuove perché, come ha detto la Camusso, nulla sarà più come prima. Dopo le devastazioni subite dalla finanza imperante e da governanti colpevoli.
C’è un altro aspetto che accomuna i due piani: le polemiche sui finanziamenti. All’autorevole giornalista de “La Stampa” che invitava a prendere sul serio lo sforzo del maggior sindacato italiano rispondeva Alcide De Gasperi. Il capo di un governo e di un partito con personalità diverse (la sinistra dc di Dossetti potrebbe essere paragonata un po’ al Vendola di oggi e Pella a Monti?) usciva con queste parole: “Fosse vero onorevole Di Vittorio che basti avere un bel piano per costruire veramente qualche cosa! Ne avevamo anche noi di piani! Non sono i piani che mancano, mancano i quattrini!”. Non sono forse le stesse risposte che molti danno oggi alla Camusso?
Critiche di natura totalmente diversa erano quelle provenienti in una prima fase dal Pci di Togliatti e dal Psi di Nenni. Togliatti, nella ricostruzione sempre di Loreto, sosteneva che in definitiva l’unica soluzione possibile era la conquista del potere politico nella formazione di un governo dei lavoratori. Nel Psi le critiche venivano da Morandi mentre Riccardo Lombardi appoggiava l’iniziativa pur valutandone le difficoltà e definendo “bertoldesca” la battuta di De Gasperi sui quattrini mancanti. Limiti e vuoti di quel piano erano comunque oggetto di una larga discussione tra intellettuali e studiosi di fama e alcuni (ad esempio lo scarso peso dato all’assetto industriale) venivano affrontati in un convegno a Milano nel giugno del 1950. Tale intensa mobilitazione di personalità della cultura era in larga misura organizzata da Vittorio Foa, allora stretto collaboratore di Di Vittorio. E così si erano impegnati, attorno al piano, autorevoli studiosi come Alberto Breglia e il giovane Paolo Sylos Labini. Mentre si schieravano a fianco della Cgil o perlomeno si confrontavano con le proposte avanzate personaggi come Antonio Pesenti, Claudio Napoleoni, Emilio Lussu, socialdemocratici come Luigi Preti, cattolici come Giorgio La Pira. Mentre, al contrario, “Conquiste del lavoro”, il giornale della Cisl di Pastore, intitolava semplicemente così: “Il piano della Cgil è una trappola al servizio dell’Urss”. E viene da sorridere ascoltando oggi le dichiarazioni di Raffaele Bonanni che affibbia alla Camusso l’accusa di lanciare “piani sovietici…
La verità è che vale oggi un’osservazione fatta da Vittorio Foa nel suo libro ‘Il cavallo e la torre’: “Col Piano del lavoro Di Vittorio tentò di spostare l’asse politico dallo scontro sociale immediato a una proposta di sviluppo valida per l’intero paese. Si proponeva una mobilitazione, a partire dalle forze del lavoro, per degli obiettivi importanti sull’energia, la casa, l’irrigazione e la trasformazione fondiaria. Non si trattava certo della fine del conflitto sociale, ma della ricerca di punti di incontro e scontro su un livello diverso, meno devastante di quello in atto, di una via d’uscita dalla routine ripetitiva del muro contro muro”. C’era in Foa l’idea che “per ottenere una cosa non basta chiederla, bisogna cominciare a costruirla”. E’ quello che intende fare la Cgil della Camusso: tradurre il nuovo piano nella contrattazione dei territori. Farla vivere e dare così una prospettiva, un orizzonte, a un popolo del lavoro che rischia la sfiducia.
Bruno Ugolini