Profughi in RD del Congo
L'UNHCR (l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, per noi italiani) ha dichiarato la fine dell'emergenza rifugiati (e quindi della concessione di tale status) per i profughi dell'Angola, a datare dal 30 giugno 2012.Naturalmente questa è una buona notizia, perchè ci dice che in un'area del nostro pianeta una situazione che era tragica è mutata, in senso positivo, in modo tale da eliminare le cause che hanno determinato la fuga di popolazioni inermi (e il loro riconoscimento dello status di profughi) e da consentire oggi il loro rientro nella terra natia. Tutto bene? Certo, se non fosse, e questo deve far riflettere, che alcuni dei profughi angolani (oggi stimati intorno alle 130 mila unità, erano 460 mila nel 2002) sono fuori dal loro paese dalla guerra d'indipendenza (1961-1975)! Generazioni intere che non hanno mai visto il loro paese (ricordiamo che dal 1975 al 2002 si combattè in Angola una sanguinosa guerra civile) e che sono nate in Repubblica Democratica del Congo (78 mila rifugiati presenti), in Zambia ( 23 mila rifugiati), in Namibia (4300 rifugiati) o altri paesi delll'area.La questione dei rifugiati (l'UNHCR assiste nel mondo - tra rifugiati, sfollati, senza stato e richiedenti asilo - oltre 33 milioni di individui, di cui un terzo in Africa) è un tema di grande importanza perchè dai numeri e dalle dinamiche dei movimenti, appare evidente che queste emergenze, che spasso si manifestano in pochissimo tempo, rischiano di mantenersi tali per decenni e decenni. Tanto per quantificare il budget per i programmi dell'UNHCR del 2012 è di 1,636 miliardi di dollari. Il 20 giugno si celebrerà la giornata del rifugiato, che come Sancara aveva scritto già lo scorso anno, è un momento per fare il punto sulle complesse situazioni che vi sono nel mondo, quelle nuove e quelle che si trascinano da anni. Quest'anno potrebbe essere l'anno in cui si può anche celebrare la fine di una lunga emergenza, quella angolana.Dei 130 mila rifugiati angolani ancora sparsi nei paesi limitrofi, circa 40 mila hanno chiesto volontariamente di rientrare nel proprio paese e negli ultimi mesi sono stati 3 mila i rientri. Questi numeri fanno pensare ad un necessario prolungamento dei tempi di rimpatrio. Naturalmente l'Alto Commissariato, oltre ad assistere i rifugiati in tutte le fasi del rientro (viaggio, cibo, trasporto dei beni personali) garantisce poi la fase di ritorno nei propri luoghi e il difficile reintegro. Non è facile (il programma dei rientri ha subito una brusca frenata ed è stato fermo per quasi 4 anni) per noi pensare cosa significa e cosa comporta il rientro in un luogo abbandonato decenni prima. Lasciato spesso in poche ore, costretti alla fuga da violenza e paura, portando dietro solo quello che poteva essere portato in una borsa. Un'intera vita, in poche cose. Rientrare non trovando più nulla e spesso non avendo nulla.Vedi anche il post di Sancara sui 60 anni di vita dell'Alto Commissariato.