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Quando gli operai vlevano studiare il clavicembalo

Da Brunougolini
Il ricordo è di Franco Bentivogli, un tempo segretario generale della Fim-Cisl. Lui con Bruno Fernex (Fiom) e Antonio Guttadauro (Uilm) erano stati spediti a guidare le trattative sulle 150 ore, una straordinaria esperienza di studio e formazione. “Quando toccò a me illustrai la richiesta delle 150 ore come diritto allo studio in senso ampio e non limitato alle scuole professionali… Il cavalier  Mandelli mi rispose di getto: Signor Bentivogli, secondo lei un operaio con le 150 ore potrebbe imparare a suonare il clavicembalo? Risposi con le stesso tono: Sì!”.
 Le testimonianza, con altre (Paola Piva,  Antonio Lettieri, Fiorella Farinelli, Stefano Musso,  Massimo Negarville, Roberto Pettenello,  Lia Ghisani, Giovanni Avonto,  Gianni Vizio, Silvano Furegon, Angelo Rossi) sono raccolte nel bel volume curato da Francesco Lauria “Le 150 ore per il diritto allo studio”,  Edizioni Lavoro.
 Nella prefazione Bruno Manghi sottolinea come l’idea originaria era stata di Bruno Trentin. Dirigenti dei tre sindacati (come non ricordare Pippo Morelli o Bruno Fernex?) coinvolsero oltre un milione e mezzo di persone nell’ambizioso progetto, inserito, nel 1973, in un rinnovo contrattuale. Scorrendo memorie e documenti, raccolti da Lauria, par di scorgere un processo che rappresentava anche una contaminazione tra culture diverse. Era il fiume sotterraneo che poteva fare da pilastro a una possibile unità sindacale. Poi come è noto si arrestò e anche quella esperienza delle 150 ore non ebbe un seguito. Manghi parla di “un grande balzo in qualche misura interrotto”.
Come rammenta Paola Piva “i lavoratori vedevano nella formazione professionale una compressione del loro spazio di libertà e di emancipazione culturale”.  Di qui anche il proclama: “Vogliamo imparare a suonare il clavicembalo”. Mentre Tonino Lettieri osserva come in quell’apologo del clavicembalo c’era “l’idea che puoi sposare il tuo lavoro manuale con l’interesse intellettuale a impadronirti di una tecnica e di una cultura che ti sono rimaste estranee”.
E oggi? Oggi l’offerta formativa come dice ancora Bentivogli andrebbe rilanciata anche per la velocità dei cambiamenti che rende le conoscenze rapidamente obsolete. E  Tullio De Mauro della postfazione spiega come le 150 ore avrebbero dovuto sfociare nel passaggio a un sistema nazionale di istruzione degli adulti.  Pesa oggi negativamente , nella vita sociale e produttiva, “la deficitaria condizione di literacy e numeracy degli adulti italiani”. Certo ci sono stati lampi di attenzione. “Ma i lampi non fanno una luce, la necessaria luce diffusa e continua sul mondo oscuro della bassa scolarità intrecciata a una minacciosa e ancor più grave dealfabetizzazione in età adulta”. Ecco perché il lavoro di Lauria, conclude De Mauro, può essere l’occasione per aprire un rinnovato discorso…”.  Un viatico da condividere soprattutto in questi tempi difficili.

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