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Questo lo dice Umberto Eco, nell'introduzione al libro Parole di Libertà pubblicato dal Pen Italia in occasione del cinquantesimo anniversario di Writers in prison, gruppo che si batte per la libertà di espressione nel mondo. Lo dice Umberto Eco e queste pagine gli danno abbondantemente ragione. Tanto che si può tranquillamente condividere anche questo giudizio:
Dalle testimonianze di questo libro emerge che sempre, dopo sofferenze e umiliazioni tali da fiaccare ogni energia, tutti questi condannati sono riusciti a ritrovare l'entusiasmo della creazione letteraria una volta usciti dal carcere, e alcuni di loro lo hanno conservato durante la prigionia, scrivendo in prigionia, scrivendo della prigionia, talora mandando i propri versi a memoria quando non avevano neppure la carta per serbarne traccia.
Tutto vero. Però una volta constatata la forza della creatività, che sa esprimersi malgrado tutto, mi entra anche una grande tristezza. Solo al pensiero che al mondo si possa essere imprigionati per le proprie idee, per le proprie parole. E penso anche che un libro come quello di cui Eco firma l'introduzione in realtà ci fa vedere solo un lato della luna, non il dark side of the moon. Ciò che ha vinto il silenzio, ciò che ha oltrepassato le sbarre. Non ciò che è stato definitamente spento, imbavagliato, sepolto.
Non sto facendo letteratura sulla sofferenza altrui, ammonisce giustamente Eco. Solo che a volte bisogna proprio aggrapparsi alla sua nota speranza. Crederci e volerci credere, perché è giusto. Godere insomma della contraddizione dei tiranni che gettando gli scrittori nelle segrete, affinché tacciano, collaborano ad amplificarne la voce.
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