E fu così che in un torrido pomeriggio di fine agosto, davanti a un latte macchiato freddo, Elasti mi chiese di raccontarle la mia storia. E quindi sabato scorso, su D di Repubblica, Centostorie stava tra Margherita Buy e Barack Obama.
QUANDO I LIBRI FANNO MIRACOLI
Antonella e Aurora hanno inventato
una casa per mamme, bimbi e parole.
«Dove stare, leggere, giocaree smettere di correre»
Era il 2007. Antonella aveva 27 anni, una laurea in Scienze della Comunicazione, un master in Marketing, un posto da precaria che implicava dedizione assoluta e nessuna garanzia economica, un marito tutto nuovo e il desiderio di un figlio o forse due, a Roma, la sua città.
«Capii presto che sarebbe stato impossibile, nelle condizioni in cui ero, conciliare ambizioni familiari e professionali», mi racconta oggi, davanti a un latte macchiato freddo, con lo sguardo dilatato e sognante della gravidanza, mentre si tocca una grande pancia, abitata da due gemelli («Ho una bimba di quattro anni, volevo darle un fratello ma ho sempre avuto la tendenza a strafare, ed eccomi qui, felice e terrorizzata per quello che sarà»).
L’idea nacque allora, in quel 2007, durante il viaggio di nozze, in Francia. «Lì mi colpì l’attenzione nei confronti dei bambini, dei loro libri, dei loro giochi, e del loro mondo. Cominciai a sognare una libreria, ispirata proprio a quell’attenzione, un luogo dove si potesse stare, leggere, giocare e smettere di correre».
Decise di provarci. Cercò una socia per la sua avventura e trovò Aurora, educatrice, mamma di due bambini («Praticamente una santa»). «Feci uno studio demografico, alla ricerca di un quartiere in cui ci fossero le condizioni favorevoli al nostro progetto». Scelsero Centocelle, nella periferia di Roma, parteciparono a un bando pubblico, lo vinsero, si indebitarono e il 10 settembre 2007 fu inaugurata la Libreria Centostorie (www.centostorie.it). «Nessuno ci avrebbe mai scommesso, ma noi eravamo molto determinate e non avevamo nulla da perdere. Forse è questo il segreto dei grandi cambiamenti», dice Antonella con gli occhi chiari che ridono e una sicurezza leggera e sbarazzina che fa sembrare tutto molto facile, anche un’avventura un po’ visionaria e due gemelli in arrivo.
«Nella nostra libreria entrano mamme, con i loro bambini, quasi mai papà, non so perché. È un mondo fatto da donne, per le donne. Cercano un consiglio, un luogo rilassante, un momento di pausa tra la spesa, il lavoro e la scuola. Se funziona con il cibo, perché non con un libro? Se nutriamo i nostri stomaci stando sempre più attenti a quel che ingeriamo perché non nutrire le nostre menti e soprattutto quelle dei nostri figli?», spiega Antonella. «A volte una cliente, appena arrivata, chiede incredula: ‘Veramente posso fermarmi, leggere, giocare?’». A qualcuna capita di stare a lungo e, uscendo, di dimenticare sul divano la borsa. «Lo trovo molto confortante, perché per un momento perdono un giro. Questo è quello che voglio: il lusso di perdere un giro».
«Abbiamo capito con il tempo cosa funziona e cosa no. Selezioniamo libri e giocattoli di qualità, abbiamo una caffetteria e una politica di servizi che prevede laboratori, feste di compleanno, corsi, eventi», perché di soli libri non si vive.
Da due anni, in seguito a numerose richieste di aiuto e consigli, Antonella e Aurora insegnano il loro mestiere con un corso che accoglie mensilmente 20 aspiranti librai per bambini. «Abbiamo incontrato oltre 500 persone da tutta Italia, quasi sempre donne, disposte a mettersi in gioco, quasi sempre stanche della precarietà perenne della loro vita lavorativa e di non potere seguire il percorso di quei bambini tanto amati che non vedono mai per colpa di ritmi
lavorativi inconciliabili».
Ci sono mestieri belli e contagiosi. Dall’esperienza di Antonella e Aurora sono nate 15 librerie indipendenti per ragazzi, soprattutto nel Centro Nord, tutte gestite da donne, accomunate dall’idea della lentezza, alcune di loro unite in un circuito di affini (www.cleio.it).
Antonella oggi ha un contratto a tempo indeterminato parttime, un orgoglioso («Ma non esagerato, eh!») stipendio, una bambina da accompagnare per mano nella vita, una grande pancia che è ancora un’incognita, il privilegio di fare esattamente quello che aveva sognato, il desiderio generoso di condividerlo.
[D di Repubblica, sabato 22 settembre 2012, pag.80]