Quando il bianco è firmato da produttori in grado di catalizzare i vitigni attraverso un territorio e un modus opernadi di cantina rispettoso della materia prima, il risultato si tramuta in vini in grado di distinguersi, di elevarsi al di sopra della massa, di emozionare e regalare superbe bevute, spesso a fronte anche di prezzi davvero ragionevoli.
Questo è quanto abbiamo appurato in una serata al Quartopiano Suite Restaurant di Rimini, in compagnia dell’amico Francesco Falcone, coautore della Guida Vini de L’Espresso, che ha messo sul tavolo 18 etichette di vini bianchi dal panorama italico, evitando i nomi più noti e andando a sondare angoli significativi della nostra penisola, con prodotti da denominazioni spesso poco note o poco diffuse, nelle carte dei ristoranti come sugli scaffale delle enoteche.
Le varietà autoctone dimostrano di potere alzare la voce e parlare forte del territorio italiano, dimostrando un migliore adattamento al nostro clima, che permette loro di rispondere meglio al variare delle annate rispetto ai vitigni internazionali, che salvo rari casi sembrano patire il clima caldo e mediterraneo della nostra penisola.
Le scuole di pensiero che hanno plasmato la moderna enologia vedono come capostipiti ideali Mario Schioppetto da una parte, col suo tecnicismo all’insegna della pulizia estrema, ed Edoardo Valentini all’opposto, impegnato sul sottile crinale tra ossidazione e riduzione, alla ricerca dell’espressione più “naturale” del suo vino. Oggi da questi due filoni si articolano mille interpretazioni differenti, spesso in grado di esprimere con franchezza e coerenza le peculiarità di un terroir.
Qui di seguito qualche appunto veloce della serata, come rapidi suggerimenti per provare etichette sfiziose. In coda alle note ci sono i miei punteggi, come semplicistica stilizzazione numerica dell’emozione percepita (da me), e sicuramente mai uguale al riproporsi di questi assaggi, e lungi dall’essere condivisa da tutti.1. Roberto Ceraudo – Petelia 2014 Colore paglierino vivo per questo assemblaggio di montonico e greco, con 20% di chardonnay, affinato solo in acciaio. Vigne piantate nel crotonese, e nello specifico a Marina di Strongoli, su terreni sabbiosi pedecollinari, affacciati sul mare. Al naso impatta dolcemente con frutto di mandarino maturo e fiori bianchi, con note di maggiorana e sfumature iodate. Caldo e piuttosto morbido al gusto, sta in equilibrio con buon allungo saporito, dai toni di cedro nel finale. 83 2. Nicola Chiaromonte – Kimìa 2014. Siamo in zona carsica, ad Acquaviva delle Fonti, vicino a Gioia del Colle, dove Chiaromonte è oggi uno dei migliori interpreti dei vitigni autoctoni, come questo Fiano minutolo,uva aromatica, della famiglia dei moscati, che qui è ben governato e disegna un bouquet fine dove si mischiano note erbacee di salvia al floreale di mughetto e rosa. Al palato entra fine, di buon calore, con frutto di pesca bianca e finale appena amaricante, tra fiori di sambuco e lime. Espressione, insieme alla precedente, che mostra come anche al Sud, nelle zone più vocate, si riescano ad ottenere vini bianchi di bell’equilibrio e piacevolezza. 85 3. Terre Rosse – Pigato 2014 Nell’entroterra savonese, tra boschi e pascoli, Vladimiro Galluzzo dagli anni ’70 calpesta le sue vigne, e dal 1985 imbottiglia i propri vini. Coltiva i suoi terrazzamenti in regime biologico da sempre, aiutato da un ambiente protetto e selvaggio, posto su suoli scistosi, a soli 10 km dal mare. Tutte le sfumature delle erbe aromatiche sembrano comparire infilando il naso nel calice, dal basilico alla salvia, al rosmarino, con toni freschi di mughetto e un ricordo di peperone che esce dopo qualche minuto a contatto con l’aria. Fresco, intenso e tagliente al palato, con buon gusto di mela renetta, e un finale lungo di pietra focaia, pulito e asciutto. Lieviti indigeni in fermentazione e rinuncia alla mallolattica. Ricorda, sia al naso che al palato, le tendenze minerali di certi riesling nordici, e sicuramente svilupperà ulteriormente il suo gustoso potenziale. 87 4. Antiche Terre Tuscolane – Frascati Superiore 2014. Il Lazio è terra poco inflazionata per il vino di qualità, svilita da una folta quantità di prodotti destinati al turismo di massa, ma riesce a offrire realtà capaci di tradurre il grande potenziale di alcuni territori davvero vocati. Questa azienda nata dalla collaborazione di sei soci in cooperativa, ha vigne sparse nella zona dei Castelli Romani, sopra 400 mt sul livello del mare su terre vulcaniche, con impianti a pergola di malvasia di candia aromatica, di 60 anni, cui si affiancano gli autoctoni malvasia puntinata e bellone. Il vino al naso propone note dolci di anice stellato e di fiori bianchi freschi e in bocca è fresco, dalla viva sapidità, che si compatta in bocca, con chiusura piena, non lunghissimo ma fine e condito da un accenno di oliva tostata e nocciola. Bevuta onestissima e disimpegnata (12.5%) 84 5. Favaro – Le Chiusure 2014. La famiglia di Benito Favaro era di tradizione contadina, e dopo una vita da impiegato alla Olivetti decide per la svolta e il ritorno alle origine, fondando un’azienda agricola. Nel 1989 pianta 1 ha di pergole, (localmente topìe), e mano a mano l’atività coinvolge tutta la famiglia. Grande cura delle vigne alla base di tutto, e attenzione in cantina, per non rovinare il lavoro delle viti, poste in un altipiano dal fondo morenico, a 350 mslm, tra Torino e Biella, nella zona dell’Erbaluce di Caluso. E questo vitigno così fulgido ed elettrico qui si rivela in un’espressione che mi colpisce sempre: crema al limone, gomma pane, pesca e fiori di acacia impattano con finezza al naso, rinfrescate da un ricordo di fiume, tra ciottoli e mentuccia. Tagliente e succoso alla beva, dove sfodera il frutto in un atmosfera soffusa e al contempo veemente, con acidità che batte il tempo a un rincorrersi elegante di ricordi gustativi, dall’agrume al mentolato, con un soffio di calore ad ammorbidire il tutto. Energia viva. 89+ 6. Nicola Bergaglio – Minaia 2014. Ci spostiamo in regione, per un altro vino da un vitigno autoctono che vanta momenti di fama alterni. Alberga su terre rosse, ferrose, al confine tra Liguria e Piemonte, su fondi di marne calcaree profonde, in valli dove giunge vento di marino con la sua calda influenza. Siamo nel territorio di Gavi, dove il 98% dei vigneti è coltivato con cortese, uva che accumula pochi zuccheri, originando vini facilmente leggeri nella trama. Dalle vigne di Rovereto arriva questo Minaia, che affianca note di margherita a toni fumè di roccia lavica, con ricordi di pompelmo. Rotondo e morbido al palato, di setosa eleganza con finale di fiori di sambuco, piacevole anche se corre su un binario unico, chiudendo con sfumature marine. 86 7. Niedrist – A.A. Riesling Berg 2014. Saliamo sul monte di Appiano, a pochi passi da Cornaiano, dove a 500 metri di quota, su suoli morenici con inserzioni basaltiche cresce poco meno di un ettaro di riesling, piantato con 6500 ceppi/ha, oggi con età di 15 anni. Didascalico l’incipit di pesca bianca e rosa, poi sfumature di lampone e frammenti di agrume, che torna sull’onda della tensione in bocca, dove scalpita e tira, correndo verso un finale piuttosto saporito dov espuntano ricordi di pompelmo e pietra focaia. Preciso ma emozionante, serba in sè, a mio avviso, un gran potenziale evolutivo, e oggi offre una bevuta davvero divertente. 87++ 8. Il Colombaio di Santa Chiara – Vernaccia di San Gimignano, Campo della Pieve 2013. Alessio Logi ha costrutito una valida realtà enologica attorno al nucleo del suo agriturismo. Conosco bene questa cantina, incontrata a Terre di Toscana, e so quanto lavorino bene su tutta la linea, esaltando la Vernaccia di San Gimignano in un territorio dai forti influssi mediterranei, non distante dal Tirreno e disteso su suoli di argilla e tufi, tra antichi sedimenti pleocenici. Colore vivo e giovane di riflessi verdi, si presenta al naso con profumi estivi di conchiglie, albicocca, pesca e orzo. Vino di muscolarità dolce, con alcole e rotondità riempie il palato per una bevuta in grado di affiancare preparazioni anche sostenute. Chiude con piacente cenno di burro e fine sapidità iodata. 88 9. Ermes Pavese – Sette Scalinate 2013 Blanc de Morgex e de la Salle. Pavese sa in ogni sua creazione regalare uno scorcio emblematico della sua terra, e con questa selezione tocca forse la vetta, lui che dalle vette (alpine) è circondato. Una vigna di soli 1000 metri quadri, a 1050 di quota, disposta su 7 terrazzamenti con viti di Blanc de Morgex coltivati a topìe, ovvero le pergole basse, necessarie per proteggere le uve dalle scottature del sole e dal freddo delle notti, riparandole col vicino calore del terreno. I terreni sono morenici, recenti ma piuttosto magri, e il vitigno è vigoroso come pianta ma piuttosto fragile nelle uve, e tende a soffrire le piogge forti dopo l’invaiatura. Ha un ciclo fenologico piuttosto breve, in teoria, ma in queste zone ed altitudini arriva a maturazione tardiva, verso metà settembre, e tendenzialmente non sviluppa molto grado, anche con raccolte tardive, e forse Pavese è tra quelli che riesce a ottenere maggiore sostanza, pur rispettando la vocazione alla leggiadria di queste uve. I toni tirano al verdolino, come le note olfattive, di salvia, menta e lime, con frutti di pera e mela freschi. Acidità e sale permeano la bocca, che si distende poi su un dolce frutto, e un bel ritorno finale di mandarino cinese. Sorso pieno ma dal passo svelto. Uno stambecco alpino. 89+ 10. Tenuta Santa Lucia – Alba Rara 2013. Unico vino servito senza dare riferimenti, completamente alla cieca, dai toni leggeri di paglia, al naso sprigiona sensazioni minerali, tra gomma e roccia, con toni di limone, mela verde e arancia. Roccioso e fine al palato, elegante e profondo, diretto a centro bocca, con succosità agrumata e un fine accenno tannico, unico “suggerimento” che può ricondurre al vitigno d’origine, l’Albana, che in questa versione appare un po’ scarnificata della sua grassezza di frutto ed elevata nella sua componente di freschezza e mineralità. Versione distante dai tradizionalismi, ma dal buon allungo sapido. Sarà curioso scoprirne l’evoluzione tra qualche anno. 85 11. De Fermo – Launegild 2013. Sembra di andare a parlare di un vitigno internazionale, ma quando è piantato in loco dal 1926 le carte in tavola si sparigliano, e ci tocca raccontare di una varietà ben adattata a un terroir “segnante” come quello di Loreto Aprutino. Questo vino lo conosco bene, e lo riconosco subito, dal calice di oro brillante al profumo generoso nel frutto dolce, di mela, pesca gialla e cenni di banana fresca, noci, mandarini e cera d’api, con fine dolcezza di pasticceria burrosa. Lungo e ricco all’assaggio, sapido e ampio nei ritorni gustativi, con finale morbido e avvolgente, che parla di api e agrume dolce. 91 più citazione: “Parlo della bellezza. Non ci si mette a discutere su un vento d’aprile. Quando lo s’incontra ci si sente rianimati. Ci si sente rianimati quando si incontra in Platone un pensiero che corre veloce, o un bel profilo in una statua. E. Pound” 12. Suavia – Massifitti 2013. Il nome della cantina delle sorelle Tessari lascia intendere la zona d’origine, le colline del Soave dove regna la garganega e le sue declinazioni. Vitigno spesso vinificato in purezza ma tradizionalmente legato al trebbiano di Soave, ormai relegato a ruolo di comprimario ed espiantato da molti vigneti, spesso molto vecchi. Suavia invece ne mantiene un appezzamento a Fittà, su terreni vulcanici a 400 metri di quota, allevati secondo la tradizionale pergola, con ceppi tra i 70 e gli 80 anni di età. Questo vino sa incantare con suggestioni da Sancerre, con note verdi e balsamiche, di zucchina, kiwi e mentuccia, con florealità fresche. La bocca è tesa, sprigiona freschezza e sale, elegante e lungo e lineare, con chiusura minerale e saporita. 88 13. Cà Lojera – Lugana Superiore Riserva del Lupo 2012. Su suoli argillosi lacustri, da vecchie viti di 40 anni, vengono le uve di Turbiana, che qui mostrano una territorialità molto diversa dalla precedente, anche in virtù di una raccolta tardiva dei grappoli. Mandarino e menta, note di distillato alla pera e orzo al naso, riempie il palato con frutto dolce di pera, ricordi di cereale ed una nota terrosa finale, con sensazioni gliceriche e saporite, equilibrato e gustoso con bella materia. 86
14. Perillo – Coda di Volpe 2012. Da viti centenarie prefillosseriche, coltivate a starsere (o raggere napoletane), poste su terreni vulcanici, con base marnoso calcarea, a Castelfranci.
Perillo è un ex-dipendente della Ferrero, che intraprende la strada dell’agricoltura negli anni 90, imbottigliando da metà decennio. Produttore che nel tempo ha mostrato grandi progressi, anche coi suoi rossi, e che insieme a pochi altri (come Raffaele Troisi) ha creduto nella valorizzazione del vitigno Coda di Volpe, spesso relegato a ruolo di comprimario di greco, fiano e falanghina. Ma la vinificazione in purezza e il lungo affinamento (un anno e mezzo in acciaio e due anni minimo bottiglia) sanno regalargli quella nobiltà espressiva che ne può fare un grande bianco. Il 2012 è in anteprima, ma mostra già belle tinte di oro giovane, e profumi esotici, di ananas, banana e papaya, con richiami di fiori appassiti. Al palato mostra ulteriore complessità, con sapori di orzo, nocciola tostata e cioccolato bianco, con un finale tutto di origano. Vino dalla densa fibra, non giocato sulla tensione acida quanto sulla voluttuosità del suo incedere, quasi masticabile ma dal fluire impeccabile. 88 15. Mirco Gottardi – Breganze Vespaiolo 2012. Siamo ancora su suoli vulcanici, questa volta quelli vicentini dei Colli Berici, Gottardi è produttore e ristoratore, tra i pochi a vinificare da solo il vitigno vespaiolo, uva che spesso finisce in uvaggio o nel passito locale (Torcolato di Breganze). Paglierino chiaro, nei toni, assolutamente distinitivo al naso, poco paragonabile ad altri assaggi, con ricordi di zucchina cotta, cetriolini, gomma pane, olive e mela rossa. Elegante e tenue alla beva, gioca di fioretto e chiude con fine sapidità, molto piacevole e disimpegnato.Davvero singolare, ma in accezione positiva, soprattutto nella parte olfattiva. 86+ 16. Aurora – Fiobbo 2013, Offida pecorino. Azienda bandiera del biologico nelle Marche, da 40 anni impegnata sui suoi 10 ha nel mantenere un ambiente salubre e naturale. Naso ricco, di incipit selvatico, e vivo di erbe aromatiche, frutto di cotogna, camomille, pesca e menta. Le note mentolate tornano vive al palato, con cenno metallico e finale di pompelmo maturo, erbe e liquirizia, e un susseguirsi di toni meditterranei, dai capperi al ginepro, all’artemisia che ne segna la chiusura di bocca. Come unire una bevuta gioiosa a tanta materia. 88 17. Marco de Bartoli – I Grappoli del Grillo 2013. Interprete che quasi non ha bisogno di presentazioni, stranoto per le sue versioni passite e liquorose (Vecchio Samperi e Bukkuram per citarne due imperdibili), ma anche il primo a vinificare le uve grillo non in ossidazione, per ottenerne un vino secco, con la prima annata di questa etichetta nel 1990. Tisane e fiori, alloro, capperi e sale marino investono il naso, con una ventata di Mediterraneo. Fresco e dalla beva fluida, con acidità citrica da lime. Chiama estate, e bevute guardando il tramonto. Buono. Punto. 89+ 18. Collecapretta – Vigna Vecchia 2014. Bicchiere particolare questo, che racchiude un’espressione territoriale e un po’ border-line del trebbiano spoletino, da una vecchia vigna di 60 anni, declinata in un vino naturale, senza nemmeno aggiunta di solforosa all’imbottigliamento. Paglierino dorato, lucente e ricco nei toni, come nei profumi, complessi e intrecciati tra spezie di mille tipi, dal pepe allo zenzero, e poi caramella d’orzo, miele e resine. Ricco al gusto, con materia che gioca bene tra acidità, sapidità ricca e speziature, con finale di pepe e un ricordo di buccia di salame. 85Tagged: Francesco Falcone, Quartopiano Suite Restaurant, tasting, white wines