«E’ un tempio la Natura, dove a volte parole
escono confuse da viventi pilastri
e che l’uomo attraversa tra foreste di simboli
che gli lanciano occhiate familiari».
Charles Baudelaire, da «Corrispondenze», Les Fleurs du Mal
di Rina Brundu. Quando uscì, nel 1963, la critica lo sottovalutò. Quell’ultimo lavoro di Alfred Hitchcock “The birds” (Gli uccelli, liberamente tratto da un racconto di Daphne Du Maurier e interpretato, tra gli altri, da Tippi Hedren, Rod Taylor e Jessica Tandy), non sembrava possedere le qualità degli altri thriller del maestro: non viveva dentro una pura dimensine horror, non era una commedia, la trama era debole e poco credibile ma soprattutto mancava di unachiusura davvero degna di quel nome. Nel tempo, come spesso accade coi recensori-illuminati-a-posteriori, le interpretazioni critiche si susseguirono una appresso all’altra, e da quella ecologico-naïf che vedrebbe in questa particolare produzione un momento di vendetta della natura nei confronti dell’uomo, a quella politico-storica, laddove gli attacchi degli uccelli diventano rappresentazione dei raid aerei della seconda guerra mondiale, fino a quella “omosessuale”, non ci si è fatti mancare davvero nulla quando si è trattato di sbrogliare la matassa dei significati nascosti con cui Hitchcock avrebbe voluto/potuto/dovuto fare vivere la sua creatura.
Muovendo nel dettaglio, secondo Federico Fellini “Gli uccelli può venire meglio apprezzato non come una narrazione lineare, ma più come un poema lirico tragico i cui episodi sono come stanze che rafforzano un singolo tema a livello emotivo”. François Truffaut, invece, dichiarò lapalissianamente che “Il film è chiaramente una costruzione intellettuale, una fantasia”. A mio avviso, una possibile verità, ovvietà, via commentativa di mezzo, potrebbe recitare che tale è la capacità artistica di cui si nutre The birds, a vari livelli, che la difficoltà interpretative da un lato, così come la grande apertura all’interpretazionedall’altro, sono mera consequentia rerum. Ne deriva che questo capolavoro hitchcockiano non potrà mai essere raccontato da una singola possibilità di critica, quanto piuttosto dalla somma delle stesse. O meglio, da una somma di visioni analitiche prodotta, a giustificazione della credibilità di ciascun mattoncino che la compone, da un approccio tecnico interpretativo coerente, logico, visibile e manifesto.
Seguendo questo ragionamento la mia personalissima visione critica di The birds non può che partire dalle considerazioni della stessa mente che ne concepì la versione cinematografica. Fu infatti proprio Alfred Hitchcock che disse: “Fin da subito fui immediatamente colpito dai Simbolisti. Per un certo periodo io feci sogni simbolisti”. Il primo elemento che si può dunque buttare sul tavolo di una ideale discussione è senz’altro il fatto che questo film è a suo modo un sogno, una visione simbolista. Nello specifico, di quel particolare movimento letterario, artistico, pittorico sembrerebbe conservare il superamento del tratto impressionista, laddove la rappresentazione dell’oggetto viene sostituita da una espressione, successivamente simbolica, appunto, del “sentire” umano. Non a caso, mentre dirige The birds, il genio americano del thriller e della suspense, diventa anche vero e proprio poeta intento ad esplorare un universo sconosciuto e ad oggettivarne, sul versante emozionale, gli stati d’animo, le perplessità, le impressioni più o meno definite che quella nuova dimensione produce in lui.
Fin qui però non ho detto nulla di nuovo. La difficoltà di analisi di questa particolarissima produzione cinematografica resta infatti una ricomposizione credibile del rapporto tra “simboli” e “segni”, laddove sembrerebbe confermarsi l’idea hegeliana di un segno e di un suo significato in rapporto di reciproca indifferenza e convenzionalità, ma sembra venire meno la possibilità di un simbolo che si pone in rapporto analogico con l’oggetto simbolizzato. Dato che il rischio sarebbe quindi un’impasse analitica, l’unico modo che mi resta per uscire dall’intricato labirinto è quello di affidarmi all’elemento empirico, agli “indizi” forniti dalla fabula e dall’intreccio, ovvero ad una ricostruzione strettamente denotante della significazione possibile (non è comunque un approccio ossimorico!). Da questo punto di vista, The birds presenta topos narrativi abbastanza usati. Comuni. Nello specifico, il macroschema è dato dall’eroe (i.e. dall’eroina, Melania Daniels), che nel suo tradizionale ruolo di elemento perturbatore arriva inaspettato nel luogo dove si svolgerà l’azione, ovvero la tranquilla cittadina di Bodega Bay. “They said when you got here the whole thing started! Who are you? Who are you? I think you are evil! Evil!” griderà, infatti, all’indirizzo della ricca e bella forestiera, una esasperata signora locale.
Caratteristica da non trascurarsi di questo particolare lavoro di Hitchcock è, tuttavia, il tratto etico positivo che, a ben guardare, connota il personaggio principale, nonché il reiterato focus su tale elemento. Di fatto, la nostra arriva a Bodega Bay per portare alla flemmatica e apatica famiglia Brenner il dono dei pappagallini inseparabili, altrimenti noti, in inglese, come “lovebirds”. Per il Feng Shui, l’arte orientale del vivere in armonia con la terra e la natura, i “lovebirds”, causa il loro forte attaccamento al partner, sono in definitiva un simbolo di fedeltà e di amore maturo. Del resto, che di “amore” ve ne sia bisogno in questo assopito villaggio rivierasco non è mistero per nessuno. Per esempio, fu a causa di un amore mai pienamente vissuto, proprio con il rampante avvocato Mitch Brenner, che Annie Hayworth, l’insegnante della locale scuola elementare, finì col seppellirsi a Bodega Bay. Ed è sempre a causa di quell’amore che non è mai riuscita a dare ai figli che Lydia Brenner, dopo la morte del marito, conduce la sua tormentata e grama esistenza nel terrore di venire abbandonata da loro. Il rampollo Mitchell Brenner non è da meno: è senz’altro un brillante avvocato che spende buona parte del suo tempo a difendere clienti reietti perché, come si affretta a sottolineare la madre “In democrazia, Cathy, ognuno ha diritto ad un giusto processo”, ma resta pure un donnaiolo scapolo impenitente, per certi versi affetto da una sorta di Complesso di Edipo. Non a caso i pappagallini sono stati portati anche “per aiutare la tua personalità”, gli spiega la stessa Melania mentre intenta a difendersi dall’approccio inizialmente scettico dell’uomo.Vero è che i lovebirds sono arrivati a casa Brenner…. in gabbia, mentre gli eventuali messaggi redentivi ad essi associati sono andati confusi con le bugie e i sotterfugi messi in atto da quella stessa signora che aveva acquistato i pappagallini. Ne deriva che sarà sempre difficile comprendere le ragioni importanti che, in ultima analisi, hanno messo in moto la “ribellione” delle altre forze avite, simboleggiate, a mio modo di vedere, proprio dagli uccelli (corvi, gabbiani, rondoni, merli, etc.), che governavano le dinamiche dell’insonnolita Bodega Bay da una eternità di tempo. Detto altrimenti, queste forze si sono ribellate in quanto forze del male determinate a non lasciarsi domare da tratti estranei positivamente marcati, o si sono ribellate all’idea di testimoniare altro amore costretto (sebbene dentro gabbia dorata!), quindi non libero e in definitiva non vero, come era quello inizialmente provato da Melania verso Mitch e viceversa? Del resto non è stato detto proprio nel “racconto” che gli uccelli “non sono creature aggressive, ma portano bellezza nel mondo? Qualunque sia la verità non è comunque questa interpretazione factual e denotante di The birds quella che io prediliggo. Ve ne è un’altra, che per certi versi deriva dalla prima e per altri si sviluppa parallela a quella, che a mio avviso è molto più rivelante. Nella mia visione delle cose, infatti, The birds, in quanto capolavoro assoluto del cinema mondiale, è soprattutto una storia che vive all’insegna del classico triangolo di morte, purificazione e rinascita. Per meglio dire è una storia che parla di redenzione e di salvezza, perché è solo attraverso il dolore e il cambiamento (simbolizzati anche dalla tragica morte della prima innamorata di Mitch, la già citata Annie Hayworth), che si può rinascere dentro un diverso livello di coscienza dell’Essere, che si può riuscire a vedere oltre i vetri rotti delle finestre dell’anima, e ritrovare finanche un sentimento di umana comunione con il prossimo (vedi il cuore di Lydia che in chiusura si commuove alla vista di una Melania ferita e mutilata dopo l’ultimo terribile attacco degli uccelli).
Non bisogna dimenticare, tuttavia, che questo processo di risurrezione è processo faticoso, da compiersi con cautela e senza creare false aspettative che porterebbero in nessun luogo. Come a dire che non è il film di Hitchcock a mancare di un finale convincente, come “azzardatato” dalla critica di mezzo secolo fa, ma che é nella natura di simili intimi percorsi uno sviluppo lento e impossibile a prevedersi. Meno che meno quando quegli stessi percorsi vengono splendidamente immortalati da una meravigliosa opera d’arte. Da questo punto di vista, illuminante è anche il tratto pittorico-espressionista che The birdsmirabilmente rivela in numerose occasioni. Pensiamo, per esempio, all’urlo senza voce di Lydia Brenner davanti all’orrore – di conradiana ed eliottiana memoria – del corpo mutilato di un suo collega fattore (gli uccelli gli hanno strappato gli occhi!); o, ancora, all’urlo senza voce di Melania quando il locale rifornitore di benzina prende fuoco uccidendo diverse persone. Entrambe le situazioni non possono che riportare alla mente l’urlo angoscioso e senza voce per eccellenza, ovvero quello di Edvard Munch.Sono trame “pittoriche” raffinate, dunque, quelle intessute dall’artista Hitchcock; brillantemente puntellate dal mirabile gioco di suoni e rumori che costituiscono una colonna sonora unica, fatta di infiniti silenzi e capace di dare straordinario effetto realistico alla narrazione, di liberarla da qualsiasi impressione di gioco intellettuale posticcio e di consegnarla di fatto al regno dell’arte pura, capace di rinnovarsi ogni volta che la si ammira e quindi capace di insegnare. Di insegnare, credo, che in realtà gli incubipiù pericolosi vivono dentro di noi e sempre a noi, al nostro coraggio, alla nostra capacità di vincere ogni paura, nonché alla nostra capacità di raziocinio, spetta in definitiva il compito di cacciarli. O, per dirla con Goya, è solo il sonno della ragione che genera mostri!
Dedicato alla memoria di Neil Armstrong (Wapakoneta, 5 agosto 1930 – Cincinnati, 25 agosto 2012).
Featured image, L’Angelo ferito (1903) di Hugo Simberg Ateneum. Second image, La morte del becchino (anni 1890) di Carlos Schwabe. Third image, Francisco Goya, El sueño de la razón produce monstruos.