"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Si apre così, con questa importante affermazione, la carta costituzionale del nostro paese. Lavoro inteso come diritto del cittadino ad adiempiere al dovere di contribuire, con il proprio onesto operato, al miglioramento dell'intera nazione. Il nobile intendimento dei padri fondatori della costituzione oggi appare di difficile attuazione, complice una crisi economica diffusa a livello internazionale. Un tempo esisteva il lavoro - quello unico che si svolgeva con impegno e dedizione per tutta la vita, fino all'esaurimento del vigore fisico. Si coltivava la terra, o si insegnava, c'era chi faceva carriera nel pubblico impiego, chi ereditava cariche di famiglia. C'era il boom economico, dopo la fame collettiva, un desiderio di riscatto che ha animato menti brillanti e spiriti avventurosi. Poi sono passati gli anni, tutto si è fatto scontato, il bene comune relegato nell'angolo dei discorsi pubblici, usato per riempirsi la bocca di nobili intendimenti destinati a rimanere tali, per l'appunto. Generazioni dopo la fine della guerra, archiviato lo splendore dei primi televisori in casa, aumentato il numero delle automobili nei garages, i giovani - e non solo - faticano a trovare spazio in un mondo del lavoro popolato dai soliti potenti, raccomandati e figli di, in cui troppo spesso impera il cosiddetto "lavoro a progetto" che nella maggior parte dei casi non prevede il pagamento dei contributi, della malattia e degli infortuni. Le madri lottano per non perdere il posto fisso, angosciate dalla prospettiva di trovarsi senza lavoro, con un figlio piccolo. Ecco allora che si moltiplicano gli asili per la primissima infanzia, con bambini di pochi mesi affidati alle cure di estranei, privati della fondamentale necessità di stare con la propria madre nei primi mesi di vita. Le madri italiane, però, accettano la situazione, stringono i denti, sperando in tempi migliori. Il ministro Maria Stella Gelmini rappresenta un'eccezione, in questo panorama. Per lei, che viaggia con la scorta e l'auto blu, le madri che stanno a casa coi propri figli sono delle privilegiate, non delle persone che fanno sacrifici quotidiani per far quadrare i conti di casa, il più delle volte licenziate poco giustamente o disoccupate con il mutuo tutto sulle spalle del marito. I padri, invece, lottano tutti i giorni con l'insidia degli incidenti sul lavoro, sospesi su travi di legno traballanti o sopra ad impalcature non a norma, piegati sulle banchine dei porti o stretti tra le pareti di cisterne assassine. Poi ci sono i casi di Melfi, di gente che cerca di lavorare ma non riesce a farlo, nonostante la legge glielo prometta. Si è dovuto scomodare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per mettere un po' di pace tra gli animi accaldati di operai da una parte e potere industriale dall'altra. E così si arriva a leggere di una dispiaciuta Antonella Clerici, popolare volto TV, amareggiata per lo strascico di polemiche seguito alla notizia del suo rinnovo contrattuale. Quasi 2 milioni di euro - 1,8 milioni per amore di precisione - per due anni di lavoro da prestare all'azienda pubblica RAI. Fa sorridere, non per piacere ma per desolazione, leggere del rammarico di una donna che si è sentita defraudata del suo diritto a lavorare dopo la maternità. Certo, trovarsi a casa, comunque stipendiata (il precednete contratto della sig.ra Clerici era di poco inferiore a quello in via di sottoscrizione), non dev'essere stato piacevole. Ma, addirittura, assumere un atteggiamento vittimista mi pare onestamente eccessivo. Il lavoro dovrebbe essere un diritto comune, rivolto a tutti, senza categorie super pagate e folte schiere di disoccupati. Non è facile fare fronte a contingenze avverse, ma è proprio in questi momenti che le forze si dovrebbero unire e non disperdere. Pare invece che in molti siano più avvezzi alle lotte intestine, al rinfoltimento del proprio guadagno, piuttosto che garantire una maggiore dignità alle tante famiglie che faticano, giorno dopo giorno, a mettere insieme i pasti. L'Italia sarà pure una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma il lavoro - oggi - è ancora una possibilità realizzabile? Barbara Greggio.