Che l’uomo sia in balia degli eventi atmosferici è storia vecchia, nota fin dalla notte dei tempi. Paure più o meno razionali, riproposte dagli ambientalisti (e non solo) per far comprendere come il sistema si stia ribellando alle angherie di noi uomini e di come siamo fragili di fronte alle forze della natura.
E fin qua niente da dire: c’è un problema reale e ogni mezzo è lecito per riportarlo all’attenzione. Ma se per far parlare di green o meglio, per far tornare di moda i temi del green, si scomodano 50 morti (l’attuale bilancio dopo il passaggio dell’uragano Sandy), forse qualcosa nella comunicazione non ha funzionato o non sta funzionando. Perlomeno è quanto evidenzia un articolo pubblicato da Pubblico (il quotidiano diretto da Luca Telese) dove, scrive l’autore, “per spostare il dibattito elettorale sul clima ci sono voluti quasi 50 morti“.
Senza entrare nel merito dei messaggi elettorali di Obama (e delle sue scelte in tema di green economy) leggendo l’articolo mi pongo però un quesito. Sono passati ventisei anni dal disastro di Chernobyl e si invoca ancora la catastrofe per far capire che indietro non si torna e che dobbiamo cambiare qualcosa nel nostro metodo di sviluppo. Una spiegazione – almeno nel caso di Obama – sono sicuramente i voti ma i fatti dimostrano che il consenso dell’opinione pubblica -quello vero – di fatto è troppo debole, sia in America che altrove.
E allora dove sta l’errore: nel messaggio o nelle modalità con cui viene trasmesso? A mio avviso, entrambi. La nostra cosidetta coscienza ecologica (o semplicemente consapevolezza) probabilmente non ha avuto troppe possibilità di crescere e diventare grande perchè hanno continuato a terrorizzarci. E se siamo spaventati siamo “facili prede” per le varie Cassandre di turno, siano essi politici, ambientalisti o, come si usa dire oggi, portatori di un qualche interesse, non necessariamente “green oriented”