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A pagina 46 di “Oggi” dei primi di novembre (probabile sedimento di un paziente distratto), campeggia un titolo che ha del sensazionale: “Il 2012? Niente paura, la fine del mondo è stata rinviata”. A piè pagina, il conduttore di Voyager, Roberto Giacobbo (che su questa profezia ha calamitato i suoi – pochi – telespettatori), insiste sulla veridicità del vaticinio.
Il teorema è, quindi, che moriremo (bella scoperta) e l'assioma è che non si sa quando (altra banalità da Guiness dei primati).Confermandomi le mie desolanti incertezze, il dilatorio Memento Mori di Giacobbo, riesce ad allietarmi, specie se raffrontato alle implacabili datazioni delle religioni più rigide e settarie, secondo le quali la vita, come lo yogurt, ha una scadenza.
Fa eccezione (lodevole) il Buddismo, secondo il quale la cognizione della fine è posta generosamente nel vago: nascere e morire sono dettagli che di stemperano nel Grande Tutto. Sono nient'altro che divertenti, di contro, i pronostici da Totocalcio delle più svariate compagnie di sventura che spostano in avanti la data dell'imminente Apocalisse, quando la precedente trascorre senza danni.
Pensate che delusione prepararsi in pompa magna al trapasso (per giunta collettivo), e accorgersi che, ancora una volta, tocca rimandare. Alla luce di questa incredibile notizia avvallata da Giacobbo, confido di celebrare il 21 (o era il 23?) dicembre del 2012 alla maniera del vecchio capo indiano del Piccolo Grande Uomo: si dice ai propri cari che l'ora è giunta, si sale sulla cima di una montagnola, poi, all'imbrunire – complice un certo appetito – si prende atto che la fine tarda a giungere. Ci si rialza e si torna a casa, giusto in tempo per la ghigliottina di Carlo Conti.
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