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Quando l’ingenuo diventa “debunker”.Chi crede alle “bufale”, chi non ci crede e perché

Creato il 08 febbraio 2014 da Catreporter79

Ai tempi della Seconda guerra del Golfo (2003), un sondaggio dimostrò come l’86% degli statunitensi che credevano alle informazioni (poi rivelatesi distorte e manipolate) sul regime di Saddam Hussein fosse collocato tra coloro i quali erano comunque favorevoli al conflitto e all’amministrazione Bush. C’era quindi un legame tra queste “misperceptions” (nel gergo della comunicazione “false percezioni”) e l’ideologia-convincimento di base dei cittadini che le accoglievano come veritiere.

Facendo una piccola ricognizione tra i contatti presenti sulle varie piattaforme di “social networking” che gestisco o co-gestisco, ho avuto modo di notare una certa instabilità nel criterio di valutazione delle informazioni che arrivano all’utenza; chi apparentemente si dimostra vulnerabile all’inquinamento del fatto e dell’elemento documentale, palesa ed attiva invece, in altre circostanze, dispositivi di filtraggio e di “debunking ” estremamente perfezionati ed efficaci. Utilizzando come esempio le “bufale” più recenti, come l’ “abolizione” della Storia dell’Arte dalle scuole italiane o , ancora, il presunto regalo di 7,5 miliardi di euro alle banche, esse hanno trovato libero ed immediato accesso ed accoglimento sugli spazi di chi, in modo trasversale (con una certa preponderanza di pentastellati ed elelettori di destra), è ostile all’esecutivo Letta, ma gli stessi condivisori si sono rivelati poi sorprendentemente razionali nell’analisi di altri “midcult“, come quello che vedeva il leader dei Forconi Danilo Calvani nell’occhio del ciclone perché “accusato” di possedere una Jaguar. In tale circostanza, i “calvaniani” (nella mia personale indagine posizionati tra l’estrema destra e il Movimento Cinque Stelle), hanno sottoposto la notizia ad un vero e proprio sezionamento, andando alla ricerca della proprietà dell’automobile, della sua data di immatricolazione, ecc.

Simili studi ed esperienze sembrano avvalorare una tesi comune, nella sociologia della comunicazione e nel giornalismo, che vede i media e la propaganda non come costruttori del consenso ma come semplici emanazioni, megafoni e puntellatori dello stesso. La propaganda mediatica attecchisce quindi più facilmente se i suoi argomenti sono, in qualche modo, sulla stessa traiettoria d’intendimento del bersaglio del messaggio.



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