6 MAGGIO – Anche quest’anno il voto è stato sciolto: sabato 4 maggio S. Efiso ha fatto ritorno alla sua chiesa di Stampace, quartieri storico di Cagliari, dopo la consueta permanenza a Nora in ricordo del suo martirio. Una sagra tanto amata dai sardi che per 357 anni hanno rispettato la promessa fatta al “Guerriero” nel lontano 1656 dopo la liberazione dalla peste, il frutto delle mille scorribande dei marinai catalani in Sardegna. La leggenda vuole che il santo apparve in sogno al Viceré Conte di Lemos per richiedere, al fine di liberare la città dal terribile flagello, il voto della processione del 1º maggio, il mese in cui la natura si risveglia dal torpore invernale. Da allora nulla è cambiato, una sagra, fra le più celebri in Italia, che nel corso degli anni ha conosciuto importanti miglioramenti con i gruppi folk, i concerti serali e una processione lunga 65 km. Il 2013 però ricorda qualcosa di più profondo e pregnante: i settant’anni – maggio 1943 – da quella struggente e commossa sfilata in una città dilaniata dalla guerra. Cagliari usciva dai bombardamenti angloamericani di febbraio, tanto devastanti da aver portato gli Alleati a coniare il termine “cagliaritized”, e la fame unita alla disperazione non poteva certamente lasciare spazio alla festa. Pensare anche solo ad un piccolo assembramento nel cuore della città rasentava la follia. Ma la fede e la volontà del popolo non conoscevano ostacoli e fu solo grazie al lavoro di Marino Cao, vicepresidente del Consiglio provinciale dell’economia e autore di uno storico filmato, che il santo ebbe modo di vedere la sua città nel momento più buio. Le amicizie importanti dell’industriale, la collaborazione di Augusto Tamponi, segretario del prefetto Leone, e il sospirato consenso di Monsignor Piovella fecero il resto. Ad officiare il rito fu chiamato il cappellano dell’ospedale civile don Mario Marcialis. Tuttavia, la ricerca di un mezzo di trasporto risultava il problema più importante. Era utopistico pensare al cocchio ornato di fiori e trainato dai due caratteristici buoi e chiedere di portare di peso il santo a chi, da qualche anno, desiderava un pasto completo era qualcosa che sconfinava nel disumano. Tamponi allora si rivolse a Giannetto Gorini, impiegato in un’ impresa che aveva l’appalto del trasporto di latte, burro e formaggi da Mussolinia (Arborea) al capoluogo isolano. Gorini non mise a disposizione un carro ma qualcosa di più: una veloce FIAT 1110 in grado di portare il santo nel luogo del suo martirio prima dell’arrivo di una possibile incursione aerea (i B17 e i P38 Lighting rovesciavano i loro ordigni sulla città quasi sempre tra le 13:00 e le 15:00). Alla guida del mezzo il giovane ex mediano del Cagliari Calcio Giovanni Vargiu. Oggigiorno in pochi ricordano lo strazio di una funzione religiosa tanto austera quanto profondamente sentita, il mesto corteo di 25 persone che attraversò la via Sassari sventrata verso viale La Playa, all’uscita della città. Marino Cao riprese tutto con la sua cinepresa: una messa umile di primo mattino, un uomo in bicicletta, qualche ragazzo scalzo, un fascista che fece il saluto romano e le donne in lacrime. Ma non si poteva e non si doveva indugiare, bisognava fare tappa a Sarroch il prima possibile e da lì, grazie al tempestivo aiuto di Mario Atzori (proprietario di una tenuta agricola a Villa S. Pietro) raggiungere Pula, dove a rendere onore a S. Efisio c’erano tantissimi sfollati cagliaritani, di ogni età e di ogni censo ma accomunati da un’unica richiesta: Sant’Efis ci deppis aggiurai, sa gherra deppit accabai. Quattro mesi e sette giorni dopo le loro preghiere sarebbero state esaudite e loro lacrime asciugate. Ieri Cagliari ha rinnovato il suo voto, i costumi, le traccas, i gioielli, i cavalieri, le autorità militari e i numerosissimi fedeli hanno adempiuto la promessa, in un contesto socio – economico assai diverso ma non immemore dei sacrifici di coloro ai quali le bombe avevano distrutto tutto ma non la speranza.
Gianmarco Cossu
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