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Quando la lingua napoletana era contro il popolo

Creato il 07 agosto 2014 da Vesuviolive
parlata

Foto di Vincenzo D’Amico per www.historiaregni.it

A dispetto di quanto si creda in merito all’utilizzo della lingua napoletana nel Regno delle Due Sicilie alle soglie dell’invasione piemontese, siamo pervenuti, in base a ricerche approfondite,  ad alcune considerazioni che stravolgono e pongono in dubbio alcune verità storiche risorgimentali consolidate, dunque più che degne per la riscoperta morale della nostra storia.

Per l’unificazione linguistica degli uffici legislativi, esecutivi, giudiziari ed economici delle Due Sicilie nel 1837 Ferdinando II dichiarò la lingua italiana come lingua ufficiale del Regno, e tollerabile l’uso di quella napoletana nell’esercito.

Risulta dunque ancora più sospetta la convinzione secondo la quale l’esplosione del riutilizzo della lingua napoletana intorno al 1860 nelle testate giornalistiche fosse l’espressione dichiarata di un risentimento popolare filo-piemontese contro la corona duo-siciliana. Ancora più inverosimile è credere che il popolo minuto avesse le capacità alfabetiche per poter leggere e scrivere addirittura il napoletano, ed esprimere con ciò il proprio dissenso nei confronti della corona in merito a supposte realtà di insofferenza.

Giornali come Lo Cuorpo de Napole e Lo Sebbeto, che ebbe il suo numero zero il 9 settembre del 1860, e che era scritto in napoletano, non era il giornale del popolo basso e più numeroso di Napoli e delle Due Sicilie ma un giornale borghese molto particolare.

Non si può negare il ruolo effettivo e determinante della borghesia massonica nella conquista del Mezzogiorno d’Italia da parte dei Savoia. Lo Cuorpo de Napoli e Lo Sebbeto fu un assurdo, e fallito, tentativo della borghesia massonica inglese e filo-inglese di avvicinare ed educare il popolino, totalmente lealista, alla causa rivoluzionaria garibaldina, attraverso non la lingua dei documenti ufficiali ma di quella corrente e più diffusa.

La massoneria fu inoltre appoggiata dai camorristi organizzati e guidati da Salvatore De Crescenzo e Marianna La Sangiovannara, i quali avevano interesse affinché le truppe garibaldine e quelle savoiarde prendessero il potere. Il ministro borbonico Liborio Romano era il punto di riferimento per massoni e camorristi all’interno del governo regolare, e a questi offrì il supporto politico e logistico all’operazione in nero.

A distanza di 150 anni il tentativo appare ancora ridicolo, anche e soprattutto, perché il popolo basso era analfabeta e qualsiasi giornale era fuori portata per il volgo. La propaganda e la penetrazione ideologica delle masse fallì sin dagli inizi, ma, come la storia ci insegna, con ben altre operazioni piemontesi, francesi, inglesi e borghesia massonica si garantirono l’egemonia, la colonizzazione e la cancellazione nel Mediterraneo e in Europa di quel soggetto politico ed economico più che scomodo.


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