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Quando la mafia non è un film

Creato il 02 ottobre 2013 da Makinsud
Quando la mafia non è un film

montalbanoLe produzioni cinematografiche hanno ormai abbandonato la Sicilia. Da anni nell’Isola si perpetuano attività illecite perpetrate da alcune famiglie mafiose, nei confronti delle produzioni cinematografiche, ma non si é mai affrontato seriamente questo problema. Dopo un lungo filone di film, fiction e serie televisive, il mondo del cinema ha gradualmente lasciato la Sicilia ma nessuno ne parla. Una situazione che ha portato via il lavoro a centinaia di attori, tecnici e professionisti del settorecosì esordisce la lettera scritta da Vincenzo Cusumano, direttore di produzione di Cinisi, ma firmata da molti altri professionisti siciliani, tra cui Leo Gullotta, Tony Sperandeo, Luigi Burruano ed Ernesto Maria Ponte. Denuncia e richiesta d’aiuto allo stesso tempo, il messaggio è stato indirizzato alla Commissione Antimafia e al presidente della Regione Crocetta per proporre una lucida analisi del settore. Previo il tranquillo svolgimento delle operazioni, infatti, sarebbe la mafia a decidere gli attrezzisti e le comparse da far lavorare, le aziende da cui rifornirsi, gli alberghi in cui pernottare, finanche la marca di acqua da bere sui set. Il cinema in Sicilia sarebbe vittima, così, da un lato del racket mafioso, dall’altra dei contributi regionali centellinati e difficili da ottenere.

Non è certo la prima volta che la questione è sollevata: nel 2004, infatti, durante le riprese di “Ocean’s Twelve” a Scopello le estorsioni erano state provate ed avevano causato una ventina di arresti; le indagini sempre su minacce ed estorsioni ai danni di Magnolia, casa di produzione televisiva che aveva condotto a Palermo il set della fiction Rai “Il segreto dell’acqua,

no-mafia
avevano portato in carcere 41 esponenti del clan della Noce; a giugno, infine, Tornatore aveva avuto modo di dichiarare: “Le poche produzioni che arrivano nell’Isola stanno qui alcune settimane e vanno via. Perché spesso sono costrette a pagare il pizzo”.

Il quadro è sconfortante: le produzioni non siciliane, timorose d’incappare in illeciti di questo genere, sempre più spesso scappano, quelle siciliane sudano per ottenere finanziamenti pubblici che difficilmente arrivano e alla fine magari si rivolgono agli “aiuti” sbagliati. Si può realizzare film in Sicilia senza cedere a disonesti ricatti? Si può, certo: Piazza, regista palermitano di “Salvo”, film molto applaudito a Cannes, sostiene che bisogna scegliere con cura le persone con cui si collabora, cosa non sempre semplice per chi non è del posto. È per questo che c’è bisogno che le istituzioni garantiscano opportunamente: il protocollo di legalità Dalla Chiesa, secondo cui i finanziamenti pubblici si erogano solo a chi dimostra un operato del tutto trasparente, è solo un inizio, perché l’onestà pretesa deve essere supportata. Le produzioni integre meritano di essere sostenute ora, non in un indistinto futuro. Non solo per amore di cultura, ma soprattutto per il positivo indotto economico che mettono in moto in una regione depressa come la Sicilia.


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